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Intervenuto ai microfoni del sito di Gianluca Di Marzio, il centrocampista classe 2004 Giulio Doratiotto ha ricordato il suo periodo alla Juventus, terminato nei mesi scorsi quando ha deciso di volare in America. "Devo tutto a loro. Il sabato mi sveglio alle sette per guardare le partite, sono in contatto ogni giorno con i ragazzi della Next Gen. La Juve mi ha cambiato la vita, mi ha fatto realizzare un sogno. Non riesco a spiegare cosa significhi essere juventino", le sue parole. "Mi sono allenato tante volte in prima squadra. Con Sarri ho fatto il mio primo allenamento, avevo 15 anni e ho visto Cristiano per la prima volta. All’inizio mi tremavano le gambe: ero appena arrivato a Torino e non me lo sarei mai aspettato. Sono cresciuto con Miretti e Iling. Avevo un bel rapporto anche con Fagioli, sono contento di vederli là. Specialmente Nicolussi, per me è stato fondamentale nei miei primi due anni di Juventus. È una persona importante per me, è un grande esempio. Gli auguro di raggiungere tutto ciò che desidera".

IN AMERICA - "Avevo diverse proposte, specialmente in Europa. Ho scelto Phoenix perché mi sono sentito desiderato dal direttore, dal presidente e dal mister che c’era al tempo. Sono venuti a Torino per conoscermi, per mostrarmi il progetto e mi sono sentito molto apprezzato. Io ho sempre avuto il mito americano. Sono sempre stato affascinato dalla loro cultura: i miei compagni erano stupiti che ascoltassi la loro musica. L’unica cosa con cui sto avendo qualche problema è il cibo: quello italiano è il migliore".

COSA GLI MANCA DELL'ITALIA - "Mi mancano alcune sfumature. Durante gli anni alla Juve ho sofferto un po’ di pressione, mi hanno paragonato a grandi calciatori ed ero tanto giovane. In quel momento ero troppo piccolo, allontanarmi da quel mondo mi sta aiutando a trovare una pace mentale. Mi manca la mia famiglia, i miei amici e anche quella spontaneità tipica che abbiamo. Ma l’Italia come Paese non mi manca".