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"Abbiamo il dovere di vincere lo scudetto". Parlava così Massimiliano Allegri il 22 luglio scorso, all'alba di una tournée americana che sembrava far presagire un nuovo inizio per la Juve, scottata dalla prima stagione senza titoli dopo dieci anni ma "forte" di nuovi rinforzi come Angel Di Maria, Paul Pogba e Gleison Bremer da affiancare ai promettenti giovani in rampa di lancio. A Las Vegas, insomma, il tecnico livornese sembrava avere le idee chiare. Tanto sugli obiettivi quanto sulla strada per raggiungerli, il prima possibile. Ecco, ripensare ora a quelle dichiarazioni lascia un mix di amarezza e perplessità.

Amarezza perché, tanto per cominciare, è evidente come la Juve non sia stata in grado di completare la "missione" e nemmeno di avvicinarsi al traguardo fissato, perplessità perché quell'Allegri era lo stesso che giusto una settimana fa, dopo la sconfitta casalinga contro il Milan, si è praticamente auto-smentito sostenendo che questa Juve non era pronta per vincere, tanto che se lui avesse voluto farlo subito sarebbe andato altrove. Uno "scivolone" pesante che non è piaciuto per nulla ai tifosi bianconeri, già perennemente "sul piede di guerra" da questo punto di vista. E che ora, nelle inevitabili riflessioni a mente fredda di fine stagione, solleva uno spunto relativo alla seconda, tormentata stagione dell'Allegri-bis: forse per la prima volta da quando è alla Juve, quest'anno il tecnico ha palesato più di una difficoltà dal punto di vista comunicativo, difficoltà che potrebbero essere lo specchio di una confusione più generale.

Quasi scioccante, per esempio, il dato da record che racconta lo stra-ordinario "trasformismo" dell'allenatore, capace di schierare la sua squadra con una formazione diversa ad ogni singola partita, per non parlare di certe scelte tecnico-tattiche incomprensibili - prese tanto al fischio d'inizio quanto a gara in corso - che sicuramente hanno fatto storcere il naso anche ai giocatori stessi. Ecco, i giocatori. Con molti di loro pare proprio che Allegri non abbia mai davvero legato, se si pensa alla furibonda lite di Pasquetta con Leandro Paredes, a certi "sbuffi" di un campione come Angel Di Maria e alle dichiarazioni post Siviglia-Juve di Wojciech Szczesny, a cui non per niente, a stretto giro, il tecnico ha attribuito una scarsa padronanza dell'italiano. E ancora, forse più sotto traccia ma comunque evidente agli occhi dei tifosi, lo scarso feeling con un talento come Federico Chiesa, troppo spesso lasciato in panchina in momenti decisivi della stagione (post infortunio, ovviamente), nonchè la titubanza nell'impiego di certi giovani.

E poi il problema dei problemi: il non-gioco della Juve, troppo spesso incapace di offrire uno spettacolo quantomeno degno di una big del suo calibro, con la fase difensiva sempre preponderante su quella offensiva e la sistematica incapacità da parte della squadra di tenere il baricentro alto, continuando a cercare il gol una volta sbloccato (magari non senza fatica) il risultato. Insomma, solo qualche elemento per spiegare come il bilancio della stagione di Allegri non possa che essere negativo, considerando che, di fatto, con lui in panchina la Juve non ha conosciuto nessun tipo di miglioramento, concludendo l'annata senza titoli in bacheca, con 72 punti sul campo (solo due in più del 2021-22, valsi ancora un quarto posto) e l'ennesima campagna europea fallimentare, con l'esperienza in Champions terminata già alla fase a gironi e una finale di EL sfuggita proprio al penultimo atto al cospetto di un'avversaria comunque abbordabile.

Almeno un merito, comunque, ad Allegri lo si deve concedere: quello di aver saputo tenere unita la squadra nella "burrasca" seguita alle dimissioni dell'intero CdA e soprattutto alla penalizzazione di 15 punti, evitando il rischio di una deriva totale anche sul campo. Per il resto, crediamo di aver detto tutto.