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Alla fine sta tutto nel cogliere l'istante. Nell'esserci su quel pallone sporco, che vaga in area e che in qualche modo deve finir dentro. Quello di Sofie Pedersen è stato fondamentalmente un atto di coraggio: Durante ha aiutato, poco avanti una compagna aveva bloccato l'avversaria e... lei era lì. Scherzi del destino e sorrisi della sorte: Sofie era lì e si è presa la briga di quel colpo di testa che ha scatenato una reazione a catena. Prima la rete, poi il boato di 39mila persone, quindi l'1-0 finale, probabilmente pure lo scudetto. Scossa, scioccata, con l'adrenalina a mille, non sapeva che fare e ha iniziato a lasciarsi sommergere dai momenti. E dalle compagne. Avevano sognato quel momento per due, lunghissime, settimane: potevano raccogliere tutta quell'adrenalina seminata lungo gli allenamenti. 

UN MOMENTO - E' stato un momento perfetto, arrivato sul finale di gara quando il campo lungo aveva preso a sberle la forma fisica delle giocatrici. E Pedersen era stata tra le peggiori, inglobata in un centrocampo ingolfato con la compartecipazione poco amichevole di Galli e Cernoia. Non dava spunti: era lì, a far legna, però sbocchi non se ne vedevano. E quando Aluko si nascondeva e Bonansea se ne andava in solitaria, neanche lo scambio con Girelli dava manforte. La legge di tutte le grandi, nervose, tecniche, tattiche partite: serviva un episodio. E serviva star lì, ad aspettarlo. Come Godot, meglio di Godot. Togliendo l'ultima 't' in un modo che neanche lei immaginava. "Una roba così non l'avevo mai provata", sorride di sensazioni a fine gara. Non l'aveva provata nessuna delle ragazze presenti. L'ha fatto lei. Che è arrivata a gennaio e che si è presa un pezzo di storia di questa squadra. Forse il più grande, di sicuro il più bello. Chi l'avrebbe detto. Lei non di certo.