DISLIVELLI - Non hanno tremato le gambe, né l'ha fatto il cuore. E la base di partenza dev'essere necessariamente questa: il Barcellona andava affrontato di petto, ma con la giusta riverenza. Come a dire: la partita (in termini di ritmo, di possesso, di interpretazione) fatela pure voi, noi rispondiamo come possiamo. E le armi a disposizione erano italianissime: terzini pronti perennemente a stringere, centrali attente e ben posizionate. In generale, un tatticismo estremo che stava portando la partita lì dove voleva la Guarino. Sul filo sottile dell'equilibrio, che ha resistito finché ha potuto, smarrendosi solo per un'addizione di sfortuna e ingenuità. Il dislivello si è concretizzato esattamente in quel punto, poi si è perpetuato nella condizione che calava e nella qualità blaugrana che si prendeva i suoi spazi. Fisiologico e naturale, forse scontato. Non propriamente giusto.
INGIUSTIZIA - E non è stato giusto perché la Juve ha mantenuto una sua coerenza, nel gestirsi e nel trincerarsi. Ha peccato in ripartenza, ma lì è stato un po' di timidezza a giocare un ruolo cruciale. Peccato: perché tutto il resto era di un bello pazzesco. L'atmosfera, lo stadio pieno (a proposito: quasi seimila persone), il tifo continuo e sentito. Una marea di appassionati che si facevano tifosi, e che a poco a poco riuscivano a prendere a cuore queste ragazze e la loro impresa sognata, poi disperata. Sarebbe stata una grande storia, sotto la luna piena di Alessandria. Tocca prendere tutto il positivo che rimane, che non è poco. Che non era scontato.