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Non è un'esagerazione: Luca Vialli ha oltrepassato la barriera del tempo. Quella in cui, vuoi o non vuoi, tutti i grandi calciatori s'incastrano, si perdono, finiscono inevitabilmente per scivolare via tra gli angoli della mente dove i ricordi non s'illuminano. 

Vialli è stato diverso. Ha saputo riproporsi, ha costretto tutti a studiare e a studiarlo. Pur avendone di straordinarie, ha cambiato ogni carta sul suo tavolo.

Da fuoriclasse in campo è diventato un allenatore originale; da allenatore originale è diventato un commentatore mai banale. E con le parole, proprio come con il pallone, ha dato costante sensazione di essere diverso, speciale, certamente unico. 

Nell'ultima, emozionante, vita al seguito della Nazionale aveva raccontato l'ennesima parte di sé, quella probabilmente più vulnerabile: da quando si era riscoperto fragile, estremamente umano, ogni giorno era un dono e con quel dono ha fatto tutti i conti dell'esistenza. L'ha benedetto e l'ha maledetto, l'ha abbracciato e se n'è discostato. L'ha amato e odiato, sempre rispettandolo. Ponendosi obiettivi, immaginando ogni domani. Soprattutto quando sembrava impossibile. 

Di Luca Vialli calciatore ci sono immagini a colori e sogni realizzati. C'è la grande corsa con la Sampdoria, portata più in alto di ogni immaginazione e a un passo dalla Coppa dei Campioni. C'è il passaggio alla Juve, un po' tormentato e poi bello, forte, vibrante, a tratti meravigliosamente scanzonato. Come quel 'backstage' filmato il 20 marzo del 1996: da lì a qualche mese la Juventus avrebbe vinto la Coppa dei Campioni tanto sospirata, e alla vigilia della sfida del Delle Alpi contro il Real Madrid, ritorno dei quarti di finale da affrontare dopo l'1-0 preso al Bernabeu, Luca fa il capitano e rende l'aria più leggera. Facendo ridere. Tenendo alta la barra dell'attenzione. Permettendo a quei ragazzi di vivere oltre il pensiero della partita. Poi vinta, naturalmente. Grazie a Del Piero e Padovano, con Luca in campo novanta minuti con la fascia al braccio. 


Parleranno tutti, e ogni parola suonerà tanto vuota da far male. Ad avere un senso saranno solo i suoi insegnamenti, raccolti negli anni passati a svelarsi, un po' alla volta, come ha fatto con la notizia della malattia. 

Nei mille pezzi della memoria, scegliamo un giorno: Salone del Libro, maggio del 2019, doveva essere un incontro ed è diventato un pianto collettivo. Vialli non voleva sorrisi di pietà, ma ispirare ancora tante persone. 

"La mia coscienza è stata a disposizione dell'energia che c'è nell'universo - raccontò -. Il cancro non è un nemico, non l'ho affrontato come in guerra". Perché è una sonora banalità questo raccontare di lotte e battaglie, di nemici terribili e di ogni metafora generata dalla paura di un destino troppo comune nell'essere umano. Se volete fargli un'ultima carezza, immaginatelo così: mano nella mano con chi ce l'ha portato via. Sereno, forse sorridente. Sicuramente in pace: oggi, almeno e dopo anni, la paura gli ha dato tregua e non dovrà affrontarla a mani nude.