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“Aho! Ve stiamo a raggiunge!” “Prego? Come?” rispondo fintamente sorpreso. E’ un amico tifoso della Roma che gufa in Juve - Atalanta. A “raggiunge?”, ma non sono sempre stati 6 o 9 punti di differenza quelli tra la Juventus e la Maggggica? E allora? “No - risponde - nel senso che vinciamo giocando male. Stiamo imparando la lezione: un golletto e poi dietro. Eh sì, Luciano assomiglia sempre più a Max.”

Non ci avevo pensato, ma una mezza verità c’è. La Roma con Spalletti è divenuta meno smargiassa, più riflessiva, tatticamente avveduta e molto più attenta in difesa. Insomma: meno bella, ma più equilibrata e quindi più simile alla Juve? Sì. E non è un caso che Spalletti, al primo inciampo, rischi subito di rotolare per terra, circondato dai mugugni capitolini. Un po’ come accade ad Allegri, anche se, va ricordato, a Torino digerirono perfino il quattordicesimo posto in classifica dopo i primi mesi dello scorso campionato. Senza Higuain, ma con Morata e soprattutto Pogba. Sì, Luciano non scalda i cuori, tiene sveglia la mente, ma, nella Capitale, c’è chi rimpiange Garcia, più spavaldo e guascone (vedi la difesa). Un po’ come l’aria che tira o meglio è sempre pronta a tirare attorno all’allenatore livornese.

Doha ha lasciato qualche strascico e qualche mugugno, per altro subito rientrato. Ma è il gioco troppo calcolatore, ai limiti del ragioneristico, che lascia freddi molti cuori di noi juventini. Gli ultimi venti minuti contro l’Atalanta si sono ripetuti troppe volte. Troppe volte, con un goal di vantaggio sembra che Allegri pensi già alla prossima partita. E poi, è così importante far spompare gli attaccanti in rientri galoppanti? Sì, dicono i commentatori, gli allenatori, i giornalisti, tutti dediti alla religione del risultato. La Juve in Italia primeggia, ma in Europa manifesta quell’eccesso di calcolo che pare quasi il frutto di un timore caratteriale dipinto di tattica. Forse è giusto così. Forse rispetto alle grandi europee siamo un gradino inferiori e allora come Ulisse contro il ciclope e Davide contro Golia, bisogna agire di raziocinio e precisione, di prudenza e attenzione piuttosto che di coraggio e fantasia.

D’altra parte, l’Atletico di Simeone non è forse una squadra superiore al proprio talento, che fa delle marcature asfissianti il suo marchio di fabbrica e il cui motto sembra essere: “Non far giocare gli avversari, poi qualcosa succede”? E’ il motto razionale delle “squadre femmina” come le chiamava Brera, che teorizzava il catenaccio quale disposizione massima per le cosiddette squadre “passive”, inferiori per atletismo, mezzi fisici, furore, abnegazione, quali la Nazionale italiana o anche la grande Inter di H.H.

Ecco, la Juve di Allegri è un po’ così, zeppa di cursori, incontristi, lavoratori e un genio davanti (Dybala). Un po’ così perché se ne sono andati Pirlo, Pogba, Vidal e sono arrivati Sturaro, Lemina, Hernanes. Ora c’è anche Rincon, che Allegri ha subito sottoposto ad una doccia di umiltà: giocare in 10 metri quadrati e passaggi al massimo di 5 metri, mai di prima. Mai il cuore oltre l’ostacolo perché forse, con saggezza, si sa che l’ostacolo è troppo alto. E soprattutto “halma”, molta “halma”, salvo poi stizzirsi un po’ troppo quando la “halma”  significa quella staticità confusa, che sa un po’, si fa per dire, d’oratorio.

Naturalmente criticare un allenatore che ti fa vincere due scudetti di fila, due coppe Italia di fila, una supercoppa (l’anno scorso); ti fa arrivare in finale di Champions (ma i secondi fanno la fine degli ultimi) e ti fa perdere da trionfatore la più bella partita d’una intera stagione (quella contro il Bayern, l’anno scorso) è accademico e forse anche ingiusto. Però, però… al fondo resta sempre un’incertezza, un’ incrinatura, un tarlo: anche quest’anno la Coppa dalle lunghe orecchie non la vinceremo…Una quasi certezza (amara) che una quasi certezza (gioiosa), quella  del sesto scudetto di fila, non è in grado di scacciare. Anzi, forse è un rischio ritenere d’avere già archiviato il campionato. Daremmo due, tre campionati per quella Coppa. Ci siamo dimenticati presto la nostra stagione all’ inferno, la nostra mediocrità (Ferrara, Zaccheroni, Del Neri, Blanc…) nella quale comunque furono gettate le fondamenta di quello Stadium che è stato il tempio della nostra rinascita.

E ora che la rinascita è avvenuta, vorremmo regalare la Champions a Buffon e poi magari ricominciare da zero (oddio, come l’Inter no…) con Allegri che se ne va da trionfatore e sì, con Luciano, che per una volta l’ha imitato davvero, riportando, dopo una quindicina d’anni lo scudetto a Roma.