CAMBIAMENTI - Ma questo ricorso sfrenato, si legge sulla Gazzetta dello sport, ha assunto i caratteri di un fenomeno non più fisiologico ma patologico e la Uefa ha lanciato l'allerta: il Club Licensing Committee presieduto da dal vice presidente Uefa Michele Uva valuta una serie di meccanismi correttivi per il prossimo autunno. Quali? Non potrà essere posto un limite alle plusvalenze stesse - si legge - ma alla loro classificazione come “entrate rilevanti” in ottica del fair play, così da differenziare le operazioni sane e quelle più o meno artificiali. La crescita dei volumi è affare di tutta Europa, visto che si è passati dai 2 miliardi del 2014 ai 5 miliardi del 2018, ma anche i costi crescono creando problemi nel medio-lungo termine.
L'ITALIA - Il rischio c'è ed è vivo anche in Italia. Troppo spesso, scrive la Rosea, si assiste a un ricorso eccessivo alle plusvalenze: tra il 2013-14 e il 2017-18 i club di Serie A abbiano accumulato 2.673 milioni di plusvalenze da cessione calciatori, un quarto del fatturato lordo della A, con la sola Premier League davanti a 2.686 milioni ma con il triplo degli affari. Il caso Chievo-Cesena è uno dei più celebri, ma tante squadre hanno venduto giocatori a prezzi alti, anche tra i top club. La Gazzetta ne cita alcuni: nel 2018-19 la Roma ha registrato 130 milioni di plusvalenze (Alisson, Manolas, Pellegrini, Strootman), la Juve 127 milioni ma senza top player (Spinazzola, Caldara, Audero, Mandragora, Sturaro, Orsolini, Cerri) e l'Inter 40 milioni solo da baby-cessioni (Pinamonti, Vanheusden, Adorante, Sala, Zappa e altri). Tutti ceduti per questioni sportive e, soprattutto di bilancio, con quel 30 giugno come data entro cui cedere per rientrare nei paletti. Obiettivo fare cassa, ma la Uefa frena.