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    Tudor, il messaggio che rompe con il passato: per un allenatore contano solo i risultati

    Tudor, il messaggio che rompe con il passato: per un allenatore contano solo i risultati

    • Benedetta Panzeri
    L'etichetta di "traghettatore" non gli piace, lo abbiamo capito. È stato molto chiaro Igor Tudor in conferenza stampa nel parlare della sua posizione, quella di un tecnico chiamato a sostituire un collega esonerato nel bel mezzo di una fase in cui la stagione era già avviata verso la conclusione. Un "traghettatore", appunto, almeno nel vocabolario comune. Non per lui, invece, che ha voluto lanciare un messaggio molto semplice di per sé: allenatori lo si è a prescindere dal tempo a disposizione e dal contratto firmato, perché nel calcio di oggi tutto può cambiare da una partita all'altra e pertanto non resta che vivere alla giornata, preparando al massimo un impegno dopo l'altro senza pensare troppo a ciò che sarà. 

     

    Perché Tudor non vuole essere definito 'traghettatore'


    Ma soprattutto - ed è questo il concetto più "forte", per quanto in fin dei conti suoni pure banale - a contare sono i risultati, e null'altro. "Va vissuto tutto senza programmazioni, il futuro si costruisce oggi", le parole del tecnico croato. "La partita di oggi si costruisce oggi, così bisogna vivere. Dal passato si prendono lezioni e non ci si pensa più, il futuro non ti dà niente se non ansia. Tu ti devi preparare al massimo, così quando arriva il giorno della gara vai a mille, ed è tutto quello che conta. Il resto conta zero". 

     

    Perché Thiago Motta alla Juventus non ha funzionato


    Niente filosofie, insomma, niente riflessioni né progetti (giusto per usare un termine abusato nella parentesi di Thiago Motta). E questo non significa, ovviamente, non costruire qualcosa che possa poi restare, ma semplicemente ricorda che, quando si parla di calcio, si deve pensare in primis al campo, e dunque ai successi, ai risultati sportivi. Ancor di più se sei alla Juventus, lì dove "vincere è l'unica cosa che conta". Tudor lo sa bene, questo. E con le sue parole ha spiegato, pur senza esplicitarlo, perché l'esperienza in panchina del tecnico che lo ha preceduto non ha funzionato: "serve pazienza, dategli tempo", si continuava a ripetere con Thiago Motta, facendo riferimento anche a quel contratto triennale firmato appena pochi mesi prima che presupponeva un percorso a lungo termine.

    Nessuno, di base, era contrario al fatto di aspettare un po' per vedere una Juventus nuova, possibilmente più bella nel gioco, con idee innovative come quelle che avevano caratterizzato il Bologna della scorsa stagione. I problemi - e nemmeno irrilevanti - sono nati nel momento in cui durante il percorso, già di per sé accidentato e in salita, hanno iniziato a venir meno i risultati, ovvero l'unico fattore che avrebbe consentito di perdonare tutte le altre mancanze. Tudor ha centrato subito il punto: (in bianconero) non è una questione di tempo, ma di obiettivi. Che possono essere raggiunti solo con il lavoro quotidiano, affrontando una partita alla volta e pensando all'oggi, ch'è "di doman non c'è certezza". O meglio, la certezza può pure arrivare, ma va costruita, un mattone dopo l'altro, una vittoria dopo l'altra. Senza questa base, non si va da nessuna parte.



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