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E' una notte che resterà. In qualche modo, incastrata nella memoria collettiva, resterà e si farà sentire. La Juve, dopo lo psicodramma, dopo aver cancellato ogni certezza accumulata tra campionato, gol, risultati, dovrà tenerla bene a mente perché ripeterla e ripetersi non è semplicemente, umanamente, calcisticamente possibile. Passi l'errore, non passerà mai la mancata reazione all'imprevisto. La Champions è questa roba qui: l'aveva detto anche Allegri in conferenza, sottolineando come il suo gruppo fosse appunto quella roba lì. La gestione della pressione. La fatica del saper soffrire. L'attesa e non il brio, perché tutte le energie mentali dovevano restare uncinate e scaricate nel momento esatto in cui il match permetteva di liberarle. Magari in contropiede.

INSPIEGABILE - Se la giochiamo ai punti, la Juve passa il turno senza togliere le mani dalle tasche. Se la sono giocata ai gol, però, e sulla resistenza. Lì non c'è stata partita: il Villarreal si è compattato e ha usato la stessa medicina di cui la Juve di tanto in tanto ha pure abusato. Prima li ha fatti sfogare, poi si è sfogato il sottomarino, agendo nell'ombra e riemergendo quando stanchezza e nervosismo ormai avevano imprigionato la Juve. Che fatica, prima. Che paura, poi. Il primo errore di Rugani è stato un vizio d'attenzione, ma lo sbaglio più grande è stato fermarsi lì, quando c'era ancora margine e tempo di ristabilirsi

ANCORA UNA VOLTA - Sono passati tre allenatori. Sono passate, allo Stadium, tre squadre sulla carta e forse il Villarreal era la più temuta. Sono passati tre anni, soprattutto, e la Juve non ha imparato nulla da quanto le è accaduto. Non ha imparato a resistere alla pressione, non ha imparato a svestire la camicia di forza di una storia che potrà essere ingombrante quanto si vuole, che però non aveva mai generato certe notti. Questa è la disfatta: nel risultato, nelle sensazioni, nell'atteggiamento. Questa è la disfatta di tutti e - per quanto sia uso comune e consolidato - non vale la pena puntare il dito. Il problema, per una volta, non è il dito ma la luna.