commenta

Questa è la cronaca di una lunga storia di amore che ebbe inizio intorno agli Anni Cinquanta e il cui protagonista aveva un cognome, Mariani, originario da un martire lombardo ucciso sotto l’impero di Diocleziano e il nome di battesimo, Amos, addirittura biblico il cui significato è “portato dal Signore”. Ebbene, fu proprio Amos Mariani ad inaugurare la direttrice calcistica lungo la quale, nel corso degli anni successivi, un numero incredibile di giocatori e talvolta di autentici campioni si trasferirono da Bergamo a Torino per vestire la maglia bianconera.

Ora, se la curiosa “liaison” fosse davvero frutto di amore non è possibile dire con certezza. Di sicuro tra le due società interessante a questa particolare forma di partnership esisteva, come esiste oggi, una profonda forma di rispetto oltre ad una visione della gestione aziendale calcistica più o meno identica. Fatto è che la Juventus e l’Atalanta, dopo quel primo passaggio di Amos Mariani in bianconero, continuarono a collaborare con grande sintonia anche perché dirette entrambe da presidenti di valore che la pensavano allo stesso modo come Boniperti, da un lato, Bortolotti e Percassi fino a Ruggeri sul versante bergamasco.

Furono sicuramente gli Anni Ottanta quelli maggiormente preziosi specialmente per la società e per la squadra bianconera allenata da Giovanni Trapattoni. Risale, infatti, a quel tempo lo sbarco a Torino di due fuoriclasse epocali che avevano vestito la maglia della Dea e che con quella della Juventus si sarebbero laureati campioni del Mondo. Gaetano Scirea e Antonio Cabrini furono i due colpi da maestro di Boniperti. Campioni assoluti che il popolo juventino porterà sempre nel cuore. A loro, poco più avanti, si aggiunsero Pietro Fanna, Cesare Prandelli e Domenico Marocchno. Ciascuno destinato a essere marchiato dal colore bianconero come una seconda pelle.

Soltanto una volta e rispetto ad un caso specifico l’Atalanta “tradì” le aspettative della Juventus in quanto a rapporti di mercato. Fu quando Silvio Berlusconi decise di intraprendere la strada del calcio esagerato sparando una cifra insostenibile per qualunque tipo di concorrente. Accadde così che Donadoni, già promesso a Boniperti, si fermò a Milano per vestire la magia rossonera anziché procedere verso Torino dove la sua presenza era data per scontata. Poi però il traffico tra Zingonia e il campo Combi, dove si allenavano le due squadre, riprese daccapo. E, come vice di Tacconi, arrivò Bodini.

Il giorno, poi, in cui Platini annunciò il suo addio al calcio giocato, all’addoloratissimo Gianni Agnelli il presidente Boniperti disse che con ogni probabilità lui aveva già trovato l’elemento giusto per sostituire il campione francese. Il patròn bianconero in quanto a sesto senso da talent scout era un cane da tartufo, ma questa volta prese un mezzo abbaglio. Il giovane Magrin, in arrivo da Bergamo, era infatti un buon giocatore ma non un talento paragonabile a “le roi”. Non un disastro, ma neppure l’iradiddio.

Pesanti, in senso positivo, furono invece gli arrivi di Christian Vieri e di Filippo Inzaghi che garantirono alla Juventus uno “score” di gol segnati memorabile. Così come furono significativi gli ingaggi di giocatori come Tacchinardi, Porrini e Montero per arrivare ai più recenti Peluso e Padoin. In buona sostanza, con i giocatori acquisiti nell’era contemporanea dall’Atalanta, la Juventus sarebbe stata in grado di mandare in campo una squadra davvero niente male: Bodini, Porrini, Scirea, Montero, Cabrini, Fanna, Tacchinardi, Prandelli, Marocchino, Vieri e Inzaghi. In caso di bisogno anche Pacione e Cristian Zenoni. L’allenatore? Ovviamente Marcello Lippi anche lui, prima di Napoli, mister dell’Atalanta.