commenta
Era l'11 settembre, a soli 3 giorni dall'apertura della Casa di tutti gli juventini, di cielo, di terra e di mare. Il sole caldo e radioso riscaldava una lieve brezza che si insinuava dalle bocche di accesso agli spalti. Il resto del calore che rendeva l'aria in ebollizione, ce lo mettevano 40 mila scalmanati tifosi, reduci da stagioni umilianti e comunque innamorati persi per i colori del cuore.

Pareva essere in Inghilterra, non un attimo di pausa nello spingere la squadra, non un refolo di silenzio più lungo di mezzo secondo e poi di nuovo ad urlare addosso ai “nostri”. Così tutta la stagione, fino al tremolare sinistro delle gradinate per quel gol di Del Piero alla Lazio, una pennellata di Pinturicchio che ancora è impressa negli occhi. Mai avvertito un tale sommovimento tellurico sotto i piedi, da brividi.

Si sa, gli uomini sono abitudinari, nel bene e nel male. E come deve essere terribile affrancarsi dalle sconfitte (presumo, ma sono privo della controprova!), così diventa abitudinaria anche la vittoria, fino a dare poco peso a serie di esse da libri di storia. Sta di fatto che l'atmosfera allo Stadium (ciao vecchio, nostalgico, sintetico “Juventus” per un pragmatico, filobadgettistico “Allianz”, boh!) è distante mille anni da quel pomeriggio di settembre di 7 anni fa. Come gli scudetti, abitudinari anche quelli? Come il numero di CR7, eppure non mi pare che Cristiano Ronaldo abbia contribuito ad alzare il livello dei decibel.
Si diceva che lo Stadium era il dodicesimo uomo in campo e che dava da subito 10 punti di vantaggio. Si diceva, appunto.

Domenica scorsa durante la gara interna con il Sassuolo, ho spesse volte buttato un orecchio alla SUD. Non arrivava altro che un sottile brusio che col tifo non ha nulla a che fare. Era in sciopero. Caro biglietti, forse? Altre faccende di difficile comunicazione con la società, forse? Oppure una certa stanchezza dei vecchi capi e difficoltà a passare il testimone ai giovani? Chi lo sa. Sta di fatto che la curva era viva eccome. E' bastata una giacca originale addosso a Pirlo, per farla esplodere, 39° minuto a parte. Gli angeli vanno sempre ricordati, a prescindere.

I biglietti sono cari, vero. Anzi, come l'inizio di una qualsiasi brano delle lettere di Paolo: carissimi... A me verrebbe da pensare che, dato che gli euro stanziati sono tanti, gli spettatori dovrebbero “sfruttare” a suon di grida, urla, slogan, incitamenti le 2 ore di Juventus. Della serie, ho pagato, partecipo fino in fondo. Invece, pare che si faccia strada l'idea che siccome ci siamo svenati, almeno si abbia il diritto di concentrarci sulla spettacolo. Non funziona così. Non è mai funzionato così, dai tempi del Comunale, laddove si pagava di meno, ma si prendeva pioggia, neve, vento e nebbia e si cantava a squarciagola, durante un autentico, reiterato, appagante happening.
E' troppo tempo che non sento il refrain: “Torno a casa senza voce/mi domandano il perché/Il motivo è molto semplice/ho tifato per la Juve”. Cos'è? Ci siamo imborghesiti? Troppe vittorie fiaccano la tempra degli ultras? Vincere è diventato un esercizio banale? Eppure quei 2 settimi posti che hanno preceduto l'inaugurazione dello Juventus Stadium (pardòn, mi viene in questo modo) ci dovrebbero parlare di sofferenze e patimenti. 

Non voglio credere che anche la curva sud si sia piegata alle teorie di spettatori “clienti”, tanto criticate proprio tra i suoi abitanti. Passino le tribune est e ovest, per manifesta “pinguinitudine”, passi la nord, frequentata dalla “brava gente” d.o.c., ma a sud da sempre c'è il calore che trascina e non sentirlo fa male al cuore. Mi correggo: al mio cuore di ragazzo cresciuto in Filadelfia. 

Solo le reti bianconere aizzano i boati, troppo poco, perché, concludendo alla maniera di Amleto: tutto il resto è silenzio. A teatro è perfetto, ma allo Stadium, no. Sapeste come sta male…