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La Juve ha sempre avuto un’anima italiana. È stata, ad esempio, l’unica nostra squadra a vincere un trofeo internazionale senza stranieri, la Coppa UEFA del 1977. Più in generale, anche nei momenti in cui è stata aiutata da campioni meravigliosi arrivati da fuori, non ha mai smarrito la sua identità nazionale. E spesso si è detto che il vero segreto della forza delle squadre bianconere che si sono succedute nel tempo sia stato proprio questo: unire i sei campioni del mondo dell’82 con Platini e Boniek, sostenere Zidane o Ibrahimovic con Del Piero e i nostri grandi difensori e centrocampisti, accompagnare le squadre degli otto scudetti con la B-B-C, Buffon, Pirlo, Marchisio. 

Ora non è più così. Né interessa che torni a esserlo. Nel momento in cui Barzagli smette di giocare, la Juve spende 75 milioni per un difensore olandese, De Ligt, che toglierà il posto a Bonucci o Chiellini e si sbarazza di Kean, che poteva diventare un simbolo azzurro della squadra bianconera del futuro. E il ritorno di Buffon come dodicesimo non cambia la sostanza. Se pensiamo alla formazione titolare della Juve di Sarri, la immaginiamo probabilmente con un solo italiano sicuro del posto, Chiellini, più qualche rincalzo che magari troverà spazio (De Sciglio o Bernardeschi).

Per la prima volta, la Juve tradisce la sua anima italiana. È uno sgarbo alla storia nel nome del mercato globale e delle plusvalenze. Chissà se questa squadra quasi tutta straniera saprà finalmente diventare regina d’Europa oppure se faticherà a rimanere padrona d’Italia.

@steagresti