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Mario Sconcerti risponde alle domande dei lettori di Calciomercato.com, commentando i temi più caldi della settimana.

Sconcerti, perché le squadre italiane non vincono più in Europa?
«Abbiamo perso competitività di campionato. E ora sta venendo fuori anche il danno di avere sempre la stessa squadra che vince. Se tu hai una società nettamente più forte, come lo è stata la Juventus in questi otto anni, tutte le altre hanno abbassato il loro valore. La realtà è che siamo i quarti in Europa. E sono più di vent’anni che da noi non nasce più un grande fuoriclasse».

Che fotografia ci restituiscono le semifinali di Champions e Europa League?
«In semifinale ci sono tutte le migliori nazioni - Inghilterra con quattro squadre, due per torneo, la Spagna con due, la Germania più la sorpresa olandese dell’Ajax. Il ritorno prepotente delle inglesi mi sembra il dato più significativo. O si eliminano tra loro o è dura».

Quale crollo è stato più fragoroso, quello della Juventus o del Napoli?
«Credo che il Napoli sia più a fine ciclo della Juve. Ci aspettavamo tutti qualcosa in più. Il Napoli ha ottenuto moltissimo negli ultimi quattro-cinque anni. Ma non è mai cresciuto veramente. Ancelotti è indubbiamente un grande allenatore, ma negli ultimi due anni non ha allenato. E’ stato esonerato quasi subito dal Bayern e poi è rimasto fermo un anno prima di sedersi sulla panchina del Napoli, La verità è che Ancelotti ha sempre gestito le migliori squadre dei paesi che ha allenato, dal Real al Chelsea al Psg allo stesso Bayern. E il Napoli non è la squadra migliore d’Italia. Detto questo: Ancelotti è stato una grande scelta, ma il Napoli è a fine ciclo».

E la Juventus?
«Credo sia anche giusto chiedersi: da Ronaldo abbiamo avuto quello che ci aspettavamo? Penso di sì. Ronaldo ha fatto il suo ma facendo il suo non ha strafatto. E’ stato fondamentale da un punto di vista dell’immagine, ma la Juve è diventata meno squadra proprio perché aveva il numero uno. Gli ha lasciato la responsabilità di vincere le partite. E’ normale che vada così quando hai in squadra uno come Ronaldo».

Cos’avevano in più di Juve e Napoli Ajax e Arsenal?
«In Europa si corre più di noi, sono tutti più veloci. L’invenzione del possesso palla ci ha danneggiato. Per noi significava mettere la palla in sicurezza, ma questo ci ha penalizzato. Gli altri vanno più fore di noi. L’Ajax ha la qualità di giocare la palla di prima e in verticale. Ha la sfacciataggine di giocare il pallone di prima e questo ha fatto la differenza».

Come se me esce?
«Serve una rivoluzione culturale in un paese che essendo sotto il regime della Juventus è rimasto fermo. Non è un caso che non cresca il calcio francese o in parte anche quello tedesco».

In Spagna però vincono solo in due.
«Vero, ma almeno sono due e non una. E poi c’è spazio anche per le altre: dal 2005 ad oggi il Sivglia ha vinto cinque volte l’Europa League, l’Atletico Madrid tre volte e nelle ultime cinque edizioni di Champions è andato due volte in finale. E il Valencia stesso ha buone frequentazioni in Europa».

Se guardiamo ai quattro tecnici semifinalisti in Champions scopriamo che nessuno di loro ha vinto un trofeo fuori dai confini nazionali.
«C’è una nuova ondata di tecnici. Valverde è un buon allenatore, Klopp è un fuoriclasse e un fuori-tempo, è lui l’evoluzione del calcio all’italiana, rivisto con la scuola tedesca e inglese. Pochettino ha sbagliato troppe partite. E infine ten Hag mi dicono che sia un fanatico, che assomigli molto più a Conte che a Michels. Sono tutti comunque molto bravi, saranno delle belle semifinali».

C’è un italiano che può vincere l’Europa League. E’ Sarri col Chelsea.
«Certo, può arrivare in fondo, ma occhio all’Eintracht: gioca bene, duro, picchia. E’ un ostacolo difficile da superare».

Infine, una considerazione su Guardiola. E’ uscito dall’élite anche stavolta. La sua seconda e ultima Champions l’ha vinta nel 2011 col Barcellona. Che gli sta succedendo?
«E’ la conferma di quello che dicevamo per Ronaldo. Gli si addossa la responsabilità di vincere. Guardiola ha già inventato e scosso il mondo, adesso se arriva secondo è già molto. La nostra storia - la storia di tutti gli uomini - è quella di scrivere sempre la stessa poesia. Ma non è per niente facile».