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A un tratto, Sarri s'è messo la maglia a strisce. Non per un esercizio di ipocrisia, quanto per una naturale presa di coscienza. Ha capito, il tecnico, che attorno al mondo Juve gravita un pianeta d'invidia pronto a giocare sempre le stesse carte: e da fuori è facile manipolatore, ma dall'interno diventa un attacco senza fine e misericordia. Da cui lui ora deve iniziare a difendersi, altrimenti non lo fa concretamente nessuno. 

PRIMA VOLTA - "Oggi abbiamo preso rigore dal VAR quando il VAR non funzionava. Se succedeva a parti invertite veniva giù il mondo". Una bomba sganciata che distrugge il passato e gli costruisce un presente forse più sereno, considerata la vittoria di Ferrara e un po' di situazioni girate nel verso giusto. Ma più dei tre punti, sono state le parole del post gara a dargli una nuova dimensione. Bianca e nera. Non era mai capitato, infatti, che il tecnico si schierasse così veementemente con la squadra che guida, con il popolo che difende.

IL GESTO - E' stato un gesto istintivo, quello dell'allenatore, perché certe emozioni fatica ancora a trattenerle. E proprio perché istintivo, la risposta ha più rilevanza, effettiva valenza. Sarri è diventato juventino con le parole, non è una storia di firme o di contratto. E non tanto per lo sgarbo - il rigore c'era -, quanto per la testa alta di tutta risposta e una condivisione totale del sentimento di sopportazione. E' uno di loro, del popolo bianconero, perché capisce ora più di tanti quanto il duro lavoro quotidiano non possa essere messo in discussione da facili conclusioni e da pregiudizi che non trovano alcun fondamento. Sarri è juventino e la Juve inizia a essere un po' più sarrista: forse non era una questione di uomini, di schemi, di campo. Era una simbiosi che doveva arrivare dal profondo: come per i sogni più belli, la base di partenza è credere in ciò che si fa. A trecentosessanta gradi.