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Nella sfida finale per la Coppa Italia “Repetita non Juventus”, nel senso che l’ultima volta gli è andata male. Non parliamo della Coppa del 2012 quando a spuntarla furono gli azzurri di Mazzarri proprio contro i bianconeri, bensì dell’ultima partita, nel girone di ritorno, fra le due squadre. Finì 2 a 1 per i partenopei, ma il risultato fu bugiardo. Non solo il Napoli meritava di vincere con uno scarto maggiore, soprattutto impartì alla Juve una vera e propria lezione di gioco. Fu il primo sigillo di Gattuso che si presentò con un centrocampo fittissimo, contiguo a una difesa alta contro cui andavano a sbattere i tentativi dei bianconeri, che parevano falene contro un vetro illuminato. Il goal di Ronaldo, abbastanza casuale, arrivò a tempo quasi scaduto.

Essenziale la tattica di Gattuso fondata su un attendismo dinamico, fatto di ripartenze velocissime in cui Insigne e soprattutto Zelinski si fiondavano da dietro, seminando il panico nella difesa juventina. La Juve veniva superata in velocità e Cuadrado - terzino era spesso travolto nella sua zona di competenza. Ma il giocatore che fece la differenza, fu, secondo noi, Demme. Sradicatore di palloni davanti alla difesa e cerniera col centrocampo, una sintesi tra Dunga e Decshamps con tratti alla Gattuso, capace di garantire equilibrio e tranquillità. Proprio quel tipo di giocatore, simile a Lucas Leiva (più dinamico, un po’ meno grintoso) che alla Juve manca dai tempi di Pirlo. Pirlo è irripetibile e non paragonabile alla stragrande maggioranza dei registi arretrati in circolazione ancor oggi, ma sono proprio giocatori come Demme a dare sicurezza arretrata e a cucire il gioco in vanti. Non l’esangue Pjanic di questi tempi e nemmeno l’elegante, ma compassato Bentancur. E’ in quel nodo nevralgico, fra  i 5 metri dalla linea dell’ area di rigore e la linea del centrocampo che la Juve soffre, sia quando difende, sia quando i suoi attaccanti vanno in avanti.

Anche le sconfitte con la Lazio e col Verona mostrarono una Juve garibaldina, ma leggera, che pretendeva di tenere il pallino del gioco senza riuscire a entrare quasi mai nell’area avversaria. Sono state proprio la compattezza dinamica di Lazio e Napoli a fare la differenza in quelle cocenti sconfitte. E siccome dalle sconfitte s’impara più che dalle vittorie, speriamo che Sarri abbia ripassato a dovere la lezione.