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In previsione di Lazio-Juventus, tornano i commenti su quel breve, unico anno di Sarri a Torino. E’ stata una cometa, per altro vittoriosa in Campionato ma miserevole in Champions, che nessuno (società e tifosi) rimpiange anche negli attuali anni di “vacche magre”.

Pirlo rappresentava una scommessa, però chi metteva in dubbio la sua dedizione alla causa? Magari un po’ confuso, contento, entusiasta (se di entusiasmo si può parlare in una predisposizione,  così laconica come la sua) di esserci. Allegri significa non solo esperienza e tradizione: è soprattutto “vissuto”. Un lungo pezzo di storia, di vittorie, di convivenza. Nel caso di Sarri sono molti i commenti che parlano d’una sua antipatia nei confronti della Juve come tratto principale di quell’ esperienza. E’ strano che in un calcio così altamente professionalizzato, quasi cinico, possa essere stato determinante proprio un sentimento. Se fra la società e l’allenatore toscano c’erano state frizioni quando allenava il Napoli, il tempo passato era ampiamente sufficiente a farle svanire. E in fondo l’unico juventino doc ad allenarla negli ultimi anni è stato Conte. Anche Allegri non veniva, forse, da un “Muntari”, “Muntari”, ripetuto a macchinetta quando allenava il Milan? Inoltre un allenatore deve sempre un po’ adattarsi quando cambia squadra, ambiente, società.

Se ci affidassimo al binomio antipatia-simpatia o addirittura al tifo, forse non ci sarebbero più scambi, non ci sarebbe più mercato. I grandi rifiuti (Riva che dice no alla Juve) si contano sulle dita d’una mano. Lo stesso Lippi racconta che crebbe in un contesto “iperviola” e fortemente antijuventino. Il padre gli ripeteva: “C’è una sola squadra dove non andare mai: quella dell’Avvocato”. Lui stesso ha sempre nutrito simpatie doriane. E Ranieri, tifoso confesso della Roma, quanti no avrebbe dovuto dire?

Nel caso di Sarri, però, c’è qualcosa di diverso: una certa cocciutaggine, quasi una tetragonia cui corrisponde la carenza di diplomazia o di duttilità. Anche al Chelsea veniva criticato per la poca capacità comunicativa e l’introversione. Alla Juventus la sua rigidità era forse stata scambiata per antipatia e viceversa la poca brillantezza della squadra per diffidenza. Insomma lui credeva che i giocatori non volessero seguire le sue indicazioni, i giocatori pensavano di non essere apprezzati. E, in effetti, la sua frase rivelatoria non fu tanto “siete una squadra inallenabile”, quanto “non so come ho fatto a non vincere un campionato con gente come voi.”

Alle sfaccettature caratteriali, però, si affiancarono vere e proprie mancanze tecniche di chi giocava, mancanze ancor oggi presenti. Non era la cattiva volontà che impediva di non aderire agli schemi “rivoluzionari” di Sarri quanto l’incapacità. La riprova s’è avuta nei due anni successivi. Quello che, invece, dovrebbe far vedere Sarri non è tanto se si prenderà una rivincita all’Olimpico, quanto mostrare dove sarà in grado di portare la Lazio.