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Tante e fin troppo parlare è stato fatto sullo “strano” matrimonio ufficialmente avvenuto tra la Juventus e Maurizio Sarri. Un evento professionalmente e aziendalmente legittimo, oltreché in sintonia con il nostro nuovo calcio “senza più bandiere”, che consente alla società bianconera di inaugurare un capitolo assolutamente inedito per la sua storia ultrasecolare. Non solo. Anche un’occasione speciale per comprendere fino a che punto due filosofie differenti di vita possano aderire l’una all’altra in funzione di un risultato di eccellenza.

Sotto questo profilo è dunque più serio e corretto non dover parlare di calcio ovvero del “gioco più semplice del mondo”, come ama dire Allegri, ma di ideologie applicate al quotidiano quindi anche al lavoro e ai rapporti interpersonali. Un meccanismo, questo, molto meno semplice del pallone. Sarà curioso e anche molto suggestivo vedere come e in che modo un personaggio come Maurizio Sarri lontano anni luce, per mentalità e per educazione anche politica dagli schemi sabaudi e vagamente regali di una famiglia che ha governato per decenni da “vice re”, entrerà alla corte degli Agnelli possibilmente e almeno nelle intenzioni congiunte per restarci a lungo.

Il nuovo allenatore scende sul “pianeta proibito” portandosi nella valigia degli effetti personali abiti molto particolari e, sulla carta, poco consoni all’ambiente dove dovrà operare. Comunista ortodosso senza se e senza ma per pubblica ammissione, trasgressivo e poco incline ad accettare regole anche semplici come quella del divieto di fumare in pubblico, franco e diretto nel suo discorrere infarcito spesso da qualche “madonna”, allergico a camicia e cravatta sotto il vestito blu, incline a schierarsi sempre e comunque dalla parte del popolo, amato da tutti i giocatori che lui tratta come uomini pensanti e non come macchine da guerra agonistica ma proprio per questo capace di irritare il “padrone” dalle belle braghe bianche.
Non vi è dubbio che la scelta di Andrea Agnelli, meglio ancora quella di Nedved e di Paratici, è stata coraggiosa. Un poco come se il re di Francia Luigi XVI di Borbone avesse convocato Robespierre nella reggia di Versailles per riorganizzare la vita della sua corte. A favore di questa vicenda, cioè per il suo esito positivo, gioca comunque una pagina epocale legata al nome della famiglia Agnelli. Quella dove si racconta di Vittorio Valletta il quale, per anni, fu il vero “padrone” della Fiat in attesa che Gianni finisse di divertirsi per il mondo e diventasse finalmente adulto e responsabile. Valletta era figlio di un ferroviere comunista, lui stesso era socialista e talvolta scendeva in fabbrica vestito con la tuta da operaio. L’azienda automobilistica, sotto la sua guida, divenne un colosso internazionale.

L’altra faccia della medaglia potrebbe, sventuratamente, mostrare il volto di un altro personaggio speciale del calcio italiano. Quello di Corrado Orrico protagonista, suo malgrado, di una disavventura professionale che gli costò la carriera ad alti livelli. Lui che avrebbe dovuto rappresentare il nuovo del pallone italiano guidando l’Inter di Ernesto Pellegrini nel post Trapattoni dopo appena sei mesi abbandonò, nottetempo, il ritiro della Pinetina e fece ritorno nella sua Volpara perché incapace di reggere le sollecitazioni ambientali e professionali della centrifuga nerazzurra. E, per certi versi, la figura di Sarri anche esteticamente pare piuttosto sovrapponibile a quella dell’inventore della “gabbia” e paladino del calcio spettacolo. Naturalmente un finale del genere nessun buon juventino lo può augurare a Sarri il quale non arriva per resistere quanto un gatto in autostrada. La curiosità per come comincerà e per come andrà a finire è, però, tanta. Non ci resta che attendere.