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Il cacciucco non è una semplice e banale zuppa di pesce. Piatto forte per sapore e consistenza, inventato da uomini forti per prestanza e coraggio, apprezzato da tutti coloro che non hanno paura di sporcarsi le mani e la fortuna di poter contare su una facile digestione. Livorno, grazie ai suoi antichi pescatori che erano anche un poco anarchici e banditi, è la capitale di questo “piatto” nato sugli scogli diverso da ogni altro e mai contaminato dalle nuove tendenze stellate. O lo si ama o lo si detesta. Non vi sono vie di mezzo. Proprio come accade a tutti e tutto ciò che “sa di livornese” perché in ogni caso e sempre mai omologato da quella normalità la quale non scontenta ma neppure soddisfa in pieno.

Sotto questo profilo, la Juventus è garantita da due persone le quali nel loro Dna possiedono scolpite le stigmate della diversità positiva. Quella che, alla fine, fa la differenza anche se per prenderne atto occorre pazientare un poco. Il primo dei due è certamente Massimiliano Allegri, detto anche “acciughina” non per ragioni culinarie ma per via di quel apparire esile dentro e fuori. In realtà dietro quella apparente fragilità carismatica e oltre la pacatezza del suo dire ragionando sempre con calma, alla resa dei conti si è scoperto l’esistenza di un uomo solido come una roccia del suo mare e intellettualmente determinato fino al punto da pagare di tasca propria e senza mendicare alibi di sorta eventuali errori e omissioni. Il percorso juventino fin qui tracciato da Allegri avrebbe potuto essere, in un passato un poco lontano ma mai dimenticato, lo stesso che sembrava essere nelle corde di un altri livornese doc come Armando Picchi.  Il destino lo placcò e lo liquidò appena cominciata la partita.

Il secondo protagonista di questa moderna saga bianconera è certamente Giorgio Chiellini. Nato quasi per caso a Pisa, di fatto lui si sente e dichiara di essere livornese. E proprio come è tipico della sua gente, la vita a lui non ha regalato nulla. Ogni cosa, partendo dal basso, se la è conquistata a sportellate. Trentaquattro anni e due piedi che non sono mai cambiati. Due “ferri da stiro”, come si usa dire, con i quali non poter cercare mai il colpo di fino ma venire subito al sodo. Come un altri pisano indimenticato con la maglia della Juve, Francesco Morini. Arrivato a Torino e avvolto dalla nuvola della stessa diffidenza con la quale sarebbe stato accolto Allegri,  il giovane “scarpone e buttafuori” Chiellini ha scalato la montagna sacra sino a diventare, oggi, una autentica leggenda vivente e giocante della quale la Juve non riuscirebbe più fare a meno. Nel mezzo, per la serie scarpe grosse e cervello fino, ha anche trovato il tempo e la voglia di conseguire due lauree. Come il mitico San Giorgio uccisore di draghi, oggi anche lui meriterebbe l’attenzione di qualche artista contemporaneo pronto a raffigurarlo si tela come fecero il Tiepolo e Raffaello per il cavaliere del Signore. Magari un pittore di Livorno, tanto per chiudere a dovere il cerchio.