commenta
Ormai è un agone, come quelli dell'antica Grecia. Da una parte ci sono cultori e fautori del bel gioco, nuovamente in rampa di lancio nelle ultimissime ore; dall'altra arriva il pragmatismo e la concretezza, la certezza che la vittoria arriva sopra ogni cosa. 'Muso corto' a parte. Ed è proprio con una metafora a stampo ippico che Arrigo Sacchi, ospite al Salone del Libro, sentenzia l'ennesimo atto di questo speciale duello: "Una volta, un giornalista mi chiese: ma come faccio a insegnare ai campioni, io che campione non lo sono mai stato? Ecco, io non sapevo che per essere un fantino bisognasse esser stato un cavallo prima". Game, set, match. Più o meno. 

ANEDDOTI - In attesa della risposta di Allegri, super ospite del giorno di chiusura del Salone, Sacchi va a ruota libera sulla costruzione di un mito. Il suo. "Mi piacevano il Real Madrid, ma m'innamorai dell'Ungheria. Era il primo calcio che aveva merito, bellezza, generosità - racconta l'ex commissario tecnico -. Abitavo in una cittadina con tanti stranieri, e tutti mi ripetevano: 'Spaghetti, mafia e... catenaccio'. E quest'ultimo ho sempre cercato di abolirlo". Al Milan ebbe il primo, vero progetto della sua vita, e i suoi racconti pullulano di aneddoti. Com'è giusto che sia. Salvo quindi inchiodare il discorso sulla bellezza: "Se giochi bene, sarà facile vincere. Nel calcio è il contrario della boxe: se dai un colpo, poi non ti fermi all'angolo. Invece sembra così. Avevamo messo al centro il gioco, non un giocatore".

SU ALLEGRI - I riferimenti all'operato dell'allenatore bianconero, comunque, si percepiscono a più riprese. E a domanda diretta, Sacchi è cauto, ma sincero: "De gustibus non disputandum est. Perché il calcio si evolva, si aggiorni, perché mantenga questo grande interesse è evidente che bisogna cambiare. Quando sento parlare come 30, 40, 50 anni fa, sono dispiaciuto". Del resto, il calcio gli ha dato tanto: con questa sua battaglia, promette, è come se dovesse rimettere il pizzico di fortuna e ossessione che ha coltivato. "In Italia, i cambiamenti non equivalgono a migliorare. Ma per migliorare bisogna cambiare. E la società per farlo sarebbe la Juventus, che illuminerebbe il calcio. In questo periodo del Milan vedrete quanto ha vinto in tempo internazionale. Marocchi ci disse: 'Ci avete dato coraggio, a tutti'. Il coraggio, la bellezza e le idee, rendono gli uomini liberi. Mi auguro che ce ne siamo tutti".