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Prima o poi sarebbe arrivato, il battesimo di fuoco per Andrea Pirlo. Che non è la prima gara in campionato, non è stato il debutto in Champions League. Non è nemmeno il principio del periodo più denso, intenso e complicato da quando è allenatore. E' il richiamo alla ritirata di Ronaldo. Che non l'ha presa bene, che tra mille maschere è il solito teatro della verità, che proprio non aveva voglia di salutare anzitempo il campo di San Siro. Del resto, quella gara messasi pericolosamente in bilico è diventata in pochi minuti la sua notte: prima con un rigore, poi con un'intuizione tipica degli audaci. Di quelli che la fortuna, in fondo, se la sanno costruire mattoncino dopo mattoncino. 

PREMIO FEDELTA' - Ha accumulato così tanti bollini sui gol, che un premio per la fedeltà doveva naturalmente uscirci. E allora, Handanovic in uscita spericolata, la naturale paura di Bastoni, diventano due immagini pregne di significato su come e quanto conti Cristiano in questo momento. Non solo in termini di finalizzazione, quanto come simbolo di un potere non ancora perso, l'ultimo baluardo dell'invincibilità bianconera. Nessuno nei top 5 campionati ha fatto tante doppiette quanto CR7, a quota otto. E nel momento forse più complicato - paradossalmente, il migliore della Juventus -, dall'Inter all'Inter ha totalizzato tre gol in cinque partite. Decidendo la Supercoppa e un pezzo di finale di Coppa Italia. Come a dire: quando vede un trofeo, è il rosso del toro. 

IL CAMBIO - E s'infuria come un toro pure quando vede il sette sul tabellone luminoso del quarto uomo. Come Sarri, Pirlo prova il brivido di sostituirlo e il re deve abdicare, lasciando il controllo della partita al gruppo intero con Morata in testa. Sbuffa teatralmente, scuote la testa come una primadonna. Il tecnico gli si avvicina e gli dice che c'è una stagione davanti e che parte da sabato, contro la Roma. Che le rimonte non sono finite e che quella in campionato ha una discreta importanza. Cristiano non apprezza ma comprende, quindi si siede e dà indicazioni a tutta la squadra. Chiede di salire e di alzare la testa, perché se c'è un elemento che ha davvero sofferto nella scorsa stagione, è stata la mancanza di tenuta mentale della squadra. Specialmente nei momenti catartici, importanti, fondamentali. Ecco, con Pirlo sa di aver ritrovato il coraggio, l'animo e il dna della Juventus di cui si era innamorato. Quella in grado di ribaltare il Real Madrid più forte di sempre, di farlo al Bernabeu. Era arrivato a Torino per quello spirito e fino a questo momento gli erano arrivate esclusive folate, cristallizzate in vecchi ricordi. Da San Siro, dalla sua doppietta, vien fuori forse la più grande certezza: quella Juve non è finita, doveva solo ritrovarsi. Attorno al suo Sette.