La sontuosità mostrata dalla Lazio, in linea con il precedente successo sempre per tre reti a uno, non basta per giustificare il balordone della squadra bianconera la quale nel primo tempo pareva poter dettare le regole del gioco mentre nella ripresa si è avviluppata su se stessa, sia mentalmente e sia fisicamente, fino ad offrirsi come vittima sacrificale sull’altare di una Supercoppa perduta.
Il dato negativo più evidente di questa Juventus è rappresentato dal fatto che, rispetto al passato, non riesce mai a mantenere la sua verginità iniziale beccando gol da qualsiasi tipo di avversario. Si tratta di un lato per nulla oscuro della situazione proprio perché il gioco voluto da Sarri (così come accadeva con il Napoli e con il Chelsea) prevede quasi matematicamente che la porta non rimanga inviolata.
Preso atto di questo ci si dovrebbe attendere che la Juventus dei “tre moschettieri” riuscisse a rimediare a questa lacuna dando fondo a quella che, teoricamente, si presume possa essere la sua potenza realizzativa garantita da Ronaldo, Dybala e Higuain. Ciò non è avvenuto e, come in occasioni precedenti, il risultato offerto dal teorema Sarri “spettacolo uguale a vittoria” si è rivelato inefficace.
Sorprendente, ma neppure troppo, il fatto che un tale evento sia accaduto contro un avversario, la Lazio appunto, che il suo allenatore Simone Inzaghi ha schierato in campo e fatto giocare in maniera indiscutibilmente “allegriana” anche in quanto a spirito, laddove non è importante per quanto si vince ma è fondamentale riuscirci anche di misura o perlomeno non perdere.
Una lezione che fa doppiamente male ai sostenitori bianconeri e che induce a una riflessione molto precisa. Paratici e Nedved hanno certamente sbagliato in fase di mercato, ma il loro errore più grande è stato quello che ”costringere”, suo malgrado, il presidente Agnelli a liberarsi di Allegri il quale, senza tanti fronzoli, il risultato lo portava a casa. Rimpiangerlo, ora, è inutile, ma non farlo è impossibile.