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A una Rivoluzione mancata o “esaurita”, di solito segue una Restaurazione. La  rivoluzione juventina doveva garantire risultati e bel gioco per rilanciare la squadra in una dimensione internazionale, ma le tre le cose non sono avvenute. I cambiamenti hanno dato esiti non proprio positivi. Le ragioni possono essere molteplici, a cominciare da una rosa non così qualitativa come si pretendeva. Una difesa in parte invecchiata (Bonucci, Chiellini), in parte sguarnita (i terzini), un centrocampo inadeguato (Rabiot, Arthur, Bentancur e l’inesistente Ramsey). A questo aggiungete un Kulusevski non ancora maturo e un McKennie che non può supportare da solo il settore. L’unico acquisto, per altro assai oneroso, degli ultimi anni, oltre De Ligt è stato Chiesa. I due nuovi allenatori “rivoluzionari”, ognuno a modo proprio, non hanno saputo traghettare questa rosa problematica dall’altra parte del fiume e sono restati in mezzo al guado. Ora, con Allegri, arriva la Restaurazione.

Si sa che l’allenatore livornese non torna da yes-man, ma nemmeno da dittatore. E’ un uomo pratico, poco incline agli aut-aut di stampo “contiano”, però qualche condizione, al di là della non riconferma di Paratici, deve averla posta, per cui la Restaurazione non può limitarsi alla riproposta dell’Ancién Regime tale e quale. Un esempio su tutti: il ritorno di Pjanic o di De Sciglio. Arthur non ha convinto, ma nemmeno il sempre più lento e confuso Pjanic di Sarri. Né il brasiliano, né il serbo rappresentano il centrocampista che manca alla Juve ovvero un uomo di lotta e di governo, in grado di arginare e smistare davanti alla propria difesa. Se poi sapesse inserirsi ancora meglio anche se di incursori la Juve ne ha già due in Rabiot e McKennie. Può certamente cambiare l’impostazione tattica, può interrompersi un troppo lungo interludio di esperimenti “mancati”, ma l’“a volte ritornano” integrale  non è auspicabile. Lo stesso allenatore labronico, prima dell’addio chiedeva di cambiare mezza squadra. Certo, allora i tempi sembravano finanziariamente più propizi; oggi lo sono meno, però non vorremmo che la scelta sia stata fatta solo per rendere un po’ più appetibile e soprattutto presentabile uno status quo troppo incerto, difficilmente riformabile senza cambiamenti significativi. 

Ecco, non siamo tra quelli che definiscono Allegri “una minestra riscaldata”, però anche un cuoco d’esperienza, ha bisogno di nuovi ingredienti se c’è bisogno di cambiare menù. A meno di fondare il nuovo ristorante sulla ribollita, ma allora non si andrebbe troppo lontano.