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Esistono luoghi che andrebbero difesi e preservati ad ogni costo non per alimentare inutili nostalgie, ma perché rappresentano paletti fondamentali per la conoscenza della nostra Storia. Dovrebbero essere soprattutto i discendenti e gli eredi di simili patrimoni della memoria a operare in tal senso. Magari anche soltanto per una ragione di riconoscenza e di rispetto se non per cultura. Evidentemente l’ansia di gettare tutto alle spalle senza voltarsi indietro è troppo forte e annulla anche quel minimo di sentimento che pure dovrebbe resistere. E i danni, almeno sul piano morale, sono notevoli.

Così scompare, a Torino, l’ultimo simbolo di un’epoca che vide la città, l’Italia intera e buona parte del mondo trasformarsi radicalmente e affacciarsi su un futuro che oggi sembra già antico. La Fiat, cioè ciò che resta di lei, perde l’ultimo pezzo prezioso della sua collezione. La palazzina di via Nizza, porta del Lingotto, all’interno della quale Gianni Agnelli e poi via via tutti gli altri uomini della Grande Fabbrica fino a Marchionne hanno gestito e mosso le leve del comando per dare un senso di universale compiutezza all’impresa industriale più rivoluzionaria e produttiva del Novecento.

Solitamente i luoghi dove nascono uomini di statura planetaria o nei quali vengono alla luce “invenzioni” in grado di mutare il percorso della Storia vengono “firmati” a futura memoria con l’esposizione a muro di una targa o comunque di un simbolo eloquente. La “palazzina dell’Avvocato”, al contrario, per volontà del nuovo archimandrita John Elkann è stata svuotata e poi dismessa dall’attuale proprietà. Probabilmente verrà demolita. Un atto certamente vantaggioso per le casse della FCA, ma assolutamente cinico per ciò che rimane della Famiglia. A Torino e in Italia, ora, resta soltanto la Juventus a raccontare che… c’era una volta Gianni Agnelli.