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Mino Raiola chiude l'anno con una lunga intervista concessa a Repubblica nella quale parte di ogni suo cliente più importante. Dall'uomo del momento Haaland, a De Ligt e Pogba: Haaland non è un difensore e perché non è De Ligt, che è capitano dell’Olanda da due anni. Gli italiani non sanno valorizzare i propri talenti, figurati quelli degli altri. A me capita di incontrare osservatori italiani che gridano al miracolo se vedono un 2001 forte. Allora gli dico: 'ma che ve ne fate, se poi non lo fate giocare'".

SU POGBA - "Oggi non porterei più nessuno là, rovinerebbero anche Maradona, Pelé e Maldini. Paul ha bisogno di una squadra e di una società, una come la prima Juve".


IBRA -  "E' tornato per divertirsi e per far divertire il mondo. Non potevo permettere che il suo ultimo palcoscenico fosse Los Angeles. Questi sei mesi saranno come l’ultima tournée dei Queen, un lungo tributo: bisognava farlo a San Siro. Chi ha convinto chi? Abbiamo litigato a ogni trasferimento. Se fossi ignorante, penserei che sono sempre stato io a decidere le sue squadre, invece a 52 anni credo di aver capito che lui decide e poi mi fa credere che la decisione l’ho presa io".

SULLA SERIE A CIMITERO DI ELEFANTI - "Il caso di Zlatan è diverso, lui viene solo per sei mesi, poi vediamo. Però vi ho portato De Ligt, che volevano tutti. Tutti. Ma lui vuole diventare il miglior difensore al mondo e allora mi fa: 'Mino, io devo andare all’Harvard della difesa, al Mit dei difensori'. Perciò abbiamo scelto la Juve: per prendere la laurea".

SULLA COMMISSIONE - "La mia commissione dipende dallo stipendio del giocatore, e vale per tutti. Non punto la pistola alla tempia di nessuno".

SU KEAN - "Tristenzza? Sì, tanta anche a me. Non l’avrei portato in Premier se non parlasse perfettamente inglese, perché è ben raro che un ragazzo italiano si adatti all’estero: chiediamoci perché Spagna e Francia continuano a esportare giocatori e noi no. Ma se l’avessi lasciato alla Juve me l’avrebbero fatto giocare in serie C. Riserva all'Everton? Di lui non sono contenti, ma stracontenti. Sanno che c’è solo bisogno di tempo, perché in Premier i valori tecnici e fisici sono più alti e la serie A non ti prepara abbastanza. In questo senso Kean è come Balotelli, un talento talmente precoce che ha saltato delle fasi di crescita che però deve recuperare, perché ha delle lacune. Ho sulla scrivania una pila di richieste per lui, ma l’Everton non ha nessuna intenzione di venderlo né lui di andarsene".

SU RAIOLA CHE CONDIZIONA IL MERCATO - "Certo che sì. Io non voglio ritrovarmi il 29 agosto a decidere cosa fare. Le commissioni? Il punto è: guadagno molto o guadagno troppo? Io sono d’accordo sul molto. Oggi un grande club vale 4 miliardi, è tutto commisurato. I soldi fanno parte dello show. E comunque non sono i soldi a motivarmi, io ero già milionario a vent’anni, potevo sdraiarmi su una spiaggia e vivere di rendita. È la Fifa che per nascondere i suoi problemi non fa che attaccare i procuratori".

SULL'ODIO DEI TIFOSI - "Dovrebbero chiedermi scusa per Donnarumma: Mino, avevi ragione tu. Volevo portarlo via perché non mi fidavo di quel Milan, come non mi fidavo dell’Inter di Thohir, e ditemi se non avevo ragione. Sarò poco romantico e politicamente scorretto, ma il mio scopo è massimizzare la carriera dei miei giocatori. Mi chiedo sempre: “cosa farei se fosse mio figlio?” I soldi sono solo l’ultimo step".

DS - "​Io direttore sportivo? Se il mio avvocato facesse comunella con il pm, lo scaricherei subito. Mia nonna era analfabeta, ma mi ha sempre detto che non si può stare con Dio e con il diavolo. Io rifiuto anche gli incarichi di mediazione, tratto solo i trasferimenti dei miei che devono scegliermi per fiducia e non perché hanno paura, come invece facevano quelli che andavano alla Gea, convinti che se non lo avessero fatto sarebbero usciti dal giro. Il procuratore è come il medico di famiglia: se non ti fidi, è meglio che lo cambi. E poi non assisto allenatori: voglio avere la libertà di mandarli affanculo".