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Il sorriso di Daniele Rugani è una bella notizia, tutto sommato. Dà anche la dimensione di come il gruppo, a prescindere dalla delusione per gli inciampi costanti a inizio cammino, sia rimasto coeso, compatto, con uno spirito molto simile a ciò che ha chiesto l'allenatore. E cioè operaio. Rugani non è stato nient'altro: ha tenuto per novanta minuti con diligenza e pulizia, ma soprattutto con coraggio. Il segno (e il segnale) di un cambiamento bello e profondo: lui dice di esser cresciuto, magari anche poco da perdere sta aiutando a performare. 

LA JUVE DEGLI ALTRI - Si può dire, insomma, che questa Juve sia la Juve di Rugani. Così come lo è stata un po' di tempo fa anche di Bernardeschi, nelle ultime settimane, dopo il gol di Roma, anche di De Sciglio. Insomma, che sia la Juve delle seconde linee alla riscossa, mentre i big faticano a trovare gol, continuità e soluzioni. E' una buona notizia? Allegri, sornione, almeno si è schivato la classica domanda sui giocatori migliorati, su quel "creare valore" imposto come dogma aziendale dal presidente, obiettivo secondario solo al quarto posto e alla prossima Champions: lui sì, può dire di averli migliorati. O comunque scongelati al momento giusto, quand'erano pronti anche a giocarsi un pezzo di futuro in bianconero. A tal proposito, il mister di Rugani dice: "Vuole restare alla Juventus". Lo vuole anche De Sciglio, farebbe piacere anche a Bernardeschi. I loro prolungamenti sarebbero meno discussi di quello di Dybala, paradossalmente. 

DOVE SONO I BIG? - Se questa è la Juve di De Sciglio, di Bernardeschi e di Rugani, allora non è la Juve di Dybala. O di Cuadrado, se ci riferiamo almeno al match di San Siro. Di sicuro non è mai stata quella di Morata. E nell'altro lato della medaglia, al momento neanche di legno, c'è la difficoltà dei big, da contratto e da curriculum, di imporsi e di trascinare. O almeno di farlo con costanza. Ecco perché raccontare di Rugani è una bella favola, ma solo per dormire la notte, distraendo i pensieri delle occasioni smarrite; ecco perché le sgroppate di De Sciglio sono un toccasana, però poi c'è Alex Sandro in un'involuzione esemplare. Come se ogni passo in avanti raccogliesse un suo Doppelgänger: è tedesco e vorrebbe dire "sosia", anche se va più nel profondo. Di fatto è un alter ego "maligno", uno spirito che non sa scomparire. Di fatto è un simbolo di questa Juve: organizzata sì, poi immobile negli ultimi 25 metri.