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La grande sfida tra Juventus e Ajax di domani sera può anche essere letta e interpretata secondo i canoni filosofici vichiani dei corsi e ricorsi storici. Un evento, questa volta, capovolto e visto al contrario riferito a ciò che accadde quarantasei anni fa a Belgrado, la città che ancora era la capitale della Repubblica della Jugoslavia.

Si chiamava Coppa dei Campioni. Era certamente fascinosa e importante sotto l’aspetto del prestigio europeo ma non produceva ancora quel flusso immenso di denaro che sarebbe stato in seguito, come oggi, l’obbiettivo principale di chi ambiva quel trofeo ora definito Champions. A suggestionare i tifosi era soprattutto il dominio autartico nei rispettivi campionati. La Coppa rappresentava la ciliegina sulla torta. Bella ma non indispensabile.

Al traguardo della finalissima in quella stagione arriva, seppur con qualche tribolazione, la Juventus. La squadra bianconera, allenata da Cestmir Vycpalek, è la classica rappresentazione del “work in progress” dove poche giocatori  esperti puntellano il lavoro e la crescita di ben più giovani compagni. Tutti con l’intenzione di diventare “grandi” non soltanto in Italia ma anche fuori mura.

In porta c’è Dino Zoff, il campione destinato a diventare leggenda. Poi ci sono ragazzi come Longobucco, Marchetti, Cuccureddu, Furino e quel Roberto Bettega non ancora consacrato “Bobby gol”. Accanto a loro gente di già provata esperienza come Anastasi, Capello, Salvadore e Haller. Per non dire di Josè Altafini che proprio in bianconero avrebbe chiuso, in maniera mitica, la sua luminosa carriera. Una squadra comunque di tutto rispetto che avrebbe potuto giocarsela tranquillamente con ogni tipo di avversario. Tranne che con uno, purtroppo.

Signori, giù il cappello. Davanti all’Ajax che, in quel momento storico, non è una squadra di calcio. E’ il calcio nella sua massima espressione tecnica e spettacolare. A guidare la formazione olandese c’è un fuoriclasse con i capelli color del grano maturo e la pettinatura alla Lennon capace di dialogare con il pallone come un padre con il figlio. E’ Johan Cruijff, campione senza rempo destinato a diventare un’icona mondiale al pari di Pablo Picasso e dei Beatles. Il Ronaldo dell’epoca, con i dovuti distinguo di personalità. Un Ronaldo che giocava nell’Ajax. Con lui altri compagni che “hanno orecchio” e che parlano la medesima lingua talentuosa. Neeskens, Rep, Hann, Krol. Ogni loro esibizione è un concerto.

Nello stadio di Belgrado la Juventus scende in campo senza timori particolari e addirittura eccitata dal pensiero di rappresentare l’outsider della situazione. I critici del tempo pensano e scrivono che non ci sarà partita. Invece la sfida ci sarà eccome. Talvolta e specialmente nel secondo tempo dura e aspra al limite del regolamento. Però, purtroppo per la Juventus, i “lancieri” olandesi sono riusciti a compiere la loro magia dopo appena tre minuti di gioco. Il folletto Johnny Rep ha raccolto un cross dal fondo e, di testa, ha inventato una palombella che scavalca Zoff e finisce in rete.

Non segneranno più gli olandesi. Ma neppure la Juve, malgrado l’entrata in campo del jolly Altafini, riuscirà ad agguantare il pareggio che avrebbe potuto condirla perlomeno ai tempi supplementari. Insomma, tutto secondo copione anche se i bianconeri escono dal campo a testa alta e tra gli applausi del pubblico che ha perfettamente compreso il loro coraggioso sforzo per tentare di contrastare i cantori del nuovo calcio totale. Ubi maior minor cessat, come dicevano i latini. Domani sera ennesima replica del romanzo a puntate. Con una differenza sostanziale. Questa volta Ronaldo, non biondo e portoghese, giocherà nella e per la Juventus contro i ragazzini terribili dell’Ajax. Proprio come accadde a Belgrado in maniera capovolta.