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La suggestione ha preso piede in questi giorni: Cristiano Ronaldo oggi alla Juventus come Maradona al Napoli nel 1984. Operazioni di mercato che segnano un'era, probabilmente le più clamorose della storia recente del calcio italiano. Ben 33 anni fa il Napoli gettò le basi, con l'arrivo del fuoriclasse argentino, per il suo primo ciclo vincente. Lo storico scudetto del 1987 vide tra gli artefici il direttore sportivo Pierpaolo Marino, che con il numero dieci argentino può vantare un legame particolare. Ha infatti contribuito in maniera decisiva al suo arrivo in Italia, come ci racconta. 

Partiamo dalla sensazione più immediata: siamo vicini alla fumata bianca per CR7? 

"Credo proprio di sì. Quello che sta portando a termine la Juventus è un capolavoro di architettura economico-finanziaria, tanto di cappello. Farà bene a tutto il calcio italiano. Sarà la Serie A a guadagnarne in appeal per gli accordi commerciali e i diritti tv per i mercati esteri cresceranno significativamente di valore". 

Sono trascorsi 33 anni. C'è qualcosa che accomuna le due operazioni?

"Direi di no. Parliamo di due grandissimi giocatori, è l'unico fattore in comune. Maradona arrivò in Italia a 24 anni, stava raggiungendo la maturità, Cristiano Ronaldo ne ha 33 ed è comunque nella fase conclusiva della sua carriera, per quanto sia ancora in ottima forma. L'ingaggio di Maradona era di un miliardo di lire, alto ma non irraggiungibile. Solo tre anni più tardi sono arrivati al Milan Van Basten e Gullit, guadagnando il cinquanta per cento in più". 

E il Napoli del 1984 non è la Juve di oggi, immaginiamo. 

"Chiaro, Maradona arrivò in un contesto dove non si era mai vinto lo scudetto. Gli abbiamo dovuto costruire la squadra intorno. Cristiano Ronaldo entrerebbe ora in un sistema già vincente, in cui si vuole alzare l'asticella. Chi arrivò in Italia già da campione consacrato, per quanto più giovane, è stato il Ronaldo che Moratti portò all'Inter nel 1997 e che quell'anno venne premiato col Pallone d'Oro per quanto fatto a Barcellona". 

Oggi a muovere i fili della trattativa c'è Jorge Mendes. Per Maradona come andò?

"Nell'estate del 1984 ero direttore sportivo dell'Avellino e stavo organizzando un'amichevole con il Barcellona. A un certo punto Riccardo Fujca, intermediario argentino con cui ero in ottimi rapporti, mi disse che Maradona non avrebbe potuto partecipare alla partita perché gli era stato impedito dal presidente Gaspart. Aveva rotto con la società per aver preso le difese di Schuster, messo fuori rosa e al minimo di stipendio. Annullammo l'amichevole e Fujca, amico di Cysterpiller che era il manager di Diego, mi suggerì che sarebbe stato quello il momento buono per portarlo in Italia. Chiaramente ad Avellino non potevo. Diedi l'imbeccata al Napoli, parlandone con Juliano". 

Più difficile arrivare a Maradona o a CR7, per una squadra italiana?

"Allora era in vigore il vincolo, non contava la durata dei contratti. Il calciomercato funzionava con altre regole. Fu una trattativa che durò un mese e mezzo, tutti gridarono allo scandalo perché il cartellino costò 13 miliardi, intervenne il Banco di Napoli per aiutare la spesa. Operazioni entrambe complesse, contestualizzate alla rispettiva epoca". 

A Napoli poi lei ci andò a lavorare e, insieme a Maradona, conquistò lo storico primo scudetto del 1987. Ancelotti, oggi, può rinverdire quei fasti? 

"E' un grande manager prima che un ottimo allenatore. Questo Napoli è ancora work in progress, per valutarlo aspetto che Carlo riesca a incidere sul mercato. Credo ci proverà per Di Maria e Benzema. Sarà più facile arrivare all'argentino in possibile uscita da Parigi, ma le evoluzioni al Real Madrid possono innescare conseguenze a catena". 

@pietroscogna