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Il 3 giugno è un giorno diverso dagli altri. Il 3 giugno, per la Juve, è anche il giorno del ricordo, per le vittime di Piazza San Carlo, per quella finale di Champions League vissuta nel cuore di Torino, davanti a un maxischermo, prima della tragedia. Il botto, il boato, la corsa, le persone schiacciate, le oltre 1600 ferite e due vittime. Una serata di paura, con la Juve che crolla a Cardiff a fare solo da sbiadito sfondo della vicenda. Noi c'eravamo, tre anni fa, in Piazza San Carlo. E quel dramma, lo raccontammo così: 

"Erano almeno 400 feriti, nella notte sono diventati più di mille. Non ci sarebbe da aggiungere altro. Una serata di festa trasformata in tragedia, questa volta no, non sportiva. Perchè tutto questo con lo sport non ha a che fare. E in realtà ancora non si sa con cosa abbia a che fare. Tra chi ha gridato alla bomba, chi parla di uno stupido scherzo e chi di una ringhiera caduta con un forte colpo alla fine di Piazza San Carlo... un limbo con una sola certezza: almeno 1400 feriti e 7 codici rossi, di cui uno di appena quattro anni. Vi abbiamo raccontato di una piazza in festa, tutto il giorno, solo cori e due colori. Ma quel canto si è interrotto alle 22.10 circa. Da lì in poi solo uno sciame di voci indefinite, poi le urla, nessuno aveva capito cosa fosse successo, eppure correvano. Una volta, due volte, tre volte. Senza una meta precisa, solo scappando e passando sopra a qualunque cosa e/o persona ci fosse davanti. La terribile forza della paura.

Io e un altro ragazzo - amico da sempre e collega per un giorno - eravamo seduti per terra in piazza San Carlo davanti al maxischermo, giusto due o tre metri più avanti delle transenne che dividevano l'area media (e non solo) dalle migliaia di tifosi. E pensare che, inizialmente, eravamo seduti proprio sul bordo di quelle transenne. Del resto non c'è cosa più bella di osservare, di stare a contatto vero con chi ti circonda e che vuoi raccontare. Mai pensiero fu più errato. In un attimo 4-5 persone ci sfrecciano affianco, correndo verso lo schemo. Mi giro e vedo le barriere crollare di netto sotto la forte spinta di tutta la piazza. Via in un lampo, ci si fa riparo schivando la folta schiera di persone che corre, per non finirne vittima e per non esserne carnefice. Venti secondi di fuoco e la corsa si interrompe. Ma nessuno sa cosa sia successo, perchè si stia correndo. Nemmeno il tempo di pensarci e un'altra folata di persone corre verso le uscite di Piazza San Carlo, tutti nella stessa direzione. Così per una terza e ultima volta. Poi tutto si calma.

La scena che si presenta è quasi una di guerra: a terra ci sono miliardi di vetri sbriciolati, zaini abbandonati e completamente distrutti, un sacco di sangue e un innumerevole numero di scarpe, scalzatesi in quella corsa pazza e immotivata. Almeno 1400 feriti, e il mezzo è sotto gli occhi di tutti. Dinamica quasi delineata - l'ipotesi ringhiera sembra la più accreditata - ma il perchè è ben chiaro: paura. Chi alla ricerca degli amici, chi a soccorrere gli amici, chi a cercare ciò che è stato abbandonato nel panico e dal panico, con una scarpa diversa dall'altra per non ferirsi ulteriormente. L'immagine che mi rimane negli occhi è quella di tantissimi ragazzi, come me, spaventati, come me, che volevano vivere una serata di sport e che invece sono caduti in una tragedia. La terribile forza della paura.

Di Andrea Menon, inviato a Torino".