In un solo attimo, le due anime della stessa comunità, si librano sopra i tetti ed i comignoli, chiamando a raccolta le fazioni. Dappertutto il rito è simile, ma a Torino si sublima. Perché, grosso modo a Genova le squadre si equivalgono, spargendosi nelle classifiche con alti e bassi, ma senza grandi diversità. Perché a Roma pare più una faccenda tra cittadini e gente della provincia, tra chi si sente romano con le carte in regola e chi fa a spallate per mettersele in tasca. A Milano, la bauscità fa della rivalità una questione di prestigio o, se si vuole, di eccellenza nella eccellenza (presunta tale!).
A Torino non ci sono contenuti sociali, sociologici, geografici o economici. Sotto la Mole è in gioco una lettura opposta della vita. Chi scrive da sempre è pronto a distinguere dai tratti somatici, chi è di qui o di là. E da piazza Castello a piazza Carlo Felice è disposto a sbagliarne 2, non di più. Perché a Torino è derby tutto l'anno, notti comprese. Sono convinto che anche il sonno differisca a seconda dell'appartenenza ad un mondo, piuttosto che all'opposto.
Non basta partecipare dal di fuori, seppure calati nel tifo di una o dell'altra squadra. Non basta. Si deve, come minimo, essere cresciuti negli oratori di periferia, nelle classi di scuola, in cui si faceva l'appello tra compagni a seconda delle strisce o della tinta unita. Luoghi di lavoro nei quali si imparava a “ruscare” con compagni ai quali si faceva la tara in funzione della Filadelfia o della Maratona.
A Torino non c'è gara in partenza, se non in rari e brevi momenti della storia del derby. La Juve è favorita a prescindere, il Toro scende in campo per sovvertire il pronostico. La Juventus ha una bacheca da paura nel cui confronto il Torino è nulla. Proprio questa differenza alimenta l'energia di “parenti poveri” che sognano almeno per un giorno di diventare i “parenti ricchi”.
In altri termini, per i colori bianconeri, risulta una tassa da pagare ogni anno: il massimo della rogna tra le rogne, Firenze, Napoli, Roma giallorossa.
Sono andati i giorni in cui chi scrive dissipava energie a profusione nell'agone tifoso. Ora le primavere attenuano l'impeto, ma non gli umori della “pancia”. E' “la” partita, ancora oggi, dopo cento e cento derby, al Comunale, al delle Alpi, all'Olimpico, allo Stadium, in casa, fuoricasa. Il risultato finale è solo un dettaglio, per noi. E' la ragione di vita, per loro. La vigilia è tremenda. Guai a chi si azzarda solo a dire che le differenze sono notevoli, nel derby non ci sono differenze, maglie a parte, si parte alla pari, anche in fatto di sofferenza.
Lo sentiamo come loro. Forse siamo portati a guardare avanti ed a lasciare alle spalle anche questo incontro in fretta, ma lo sentiamo eccome. Oddio, i mulitta te la conterebbero fino alla prossima stracittadina, in caso di loro vittoria. Ecco perché vincere vuole dire schinare 6 mesi d'inferno. Torino è divisa a metà, il Piemonte è più juventino che granata. Oltre Ticino, di granata resta solo un particolare tipo di bomba da getto.
Un torinista stamane si diceva dispiaciuto della sconfitta a Berna della Juventus. Homo sportivus? Macché, solo a conoscenza che la Juve difficilmente perde 2 partite di fila. Il derby pervade anche la cabala. Non c'è spazio per il sintetico. All'Olimpico la febbre del sabato sera sarà esente da vaccini. E credetemi, John Travolta impallidirebbe.