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«Ero allo stadio, mi sono goduto il gol da vicino. E a mio figlio ho girato un pezzo di video della sua esultanza, che mi ha mandato il mio vicino di posto. Tra l’altro ha segnato nel giorno tra il compleanno della mamma e quello della fidanzata: non ha fatto torto a nessuna». E' il racconto di Ludovico, papà di Federico Gatti, che a Tuttosport svela le emozioni vissute con il figlio e con la Juventus: «Squadra operaia? Sì, mi piace molto. Questa è una squadra che sta cercando di ripartire dopo anni in cui non ha vinto. Amo pensare ai giocatori che si stanno prendendo la scena: McKennie che si sta riscattando, Rabiot che fino a due anni fa veniva osteggiato da tutti e infine Bremer, che al secondo anno in bianconero sta facendo un campionato incredibile. Quest’anno la Juventus è un blocco unico: club, staff tecnico e giocatori sono una cosa sola. Questo si vede in campo: Allegri ha fatto un lavoro enorme».

SCUDETTO - «Per la Juventus non può essere un sogno, ma un’ambizione. Ovviamente i giocatori ne parlano, ma sanno che devono volare».

MERCATO - «In estate lo volevano un paio di club inglesi: io ho sempre pensato che quello della Premier League fosse un calcio adatto a lui. Ma mio figlio la vede diversamente: ha sempre e solo voluto la Juventus. Ha fatto benissimo, non ha mai gradito i trasferimenti contro la sua volontà, come quando il Toro a 14 anni lo diede all’Alessandria e poi quando l’Alessandria non lo ha ritenuto all’altezza». 

FAME - «Ho visto Camarda debuttare a 15 anni in Serie A: mio figlio alla sua età non era proprio maturo. Era nato da attaccante, poi le tappe del suo percorso lo hanno fatto arretrare. Ha sempre avuto, però, una voglia fuori dal comune di arrivare in alto, anche quando giocava in Promozione: ha pensato pure di trasferirsi negli Stati Uniti o a Malta pur di ricominciare da zero. Pur di vivere di calcio». 

DILETTANTE - «Era stufo della sua vita, non voleva accontentarsi di fare il dilettante. Per cui lavorava, giocava e dormiva: nient’altro. Non si rilassava mai, era in perenne lotta contro se stesso. Sapeva soltanto che doveva cambiare la sua vita: ci è riuscito e non posso che ammirarlo».

GIUNTOLI - «Il direttore Giuntoli, al momento della firma del rinnovo: ha detto delle frasi che non dimenticherò mai e che mi hanno lasciato di stucco.

MODELLO - «La fame di Djokovic: lo ammira tantissimo, soprattutto perché non è mai sazio di vittorie».

SCIREA - «Persino uno come Scirea, che è stato un pilastro del calcio italiano, a volte doveva usare le maniere forti in campo. Ma tutto finiva lì. Oggi ci sono tante telecamere, ma io penso che la ferocia agonistica di Federico sia figlia dei suoi anni nei dilettanti: quando trovi uno più forte davanti fai di tutto per fermarlo. Se qualcuno lo accusa, non importa: mio figlio va avanti».