IL RITORNO A CASA - E' tornato a casa, perché al momento è davvero a cinque minuti d’auto da Altina, sobborgo residenziale nel nord-ovest di Belgrado, dove da piccolo ha dato i primi calci al pallone. Sognava di fare il calciatore, mentre papà Milos e mamma Sladjana, spingevano per scuola e sport, con il calcio più arti marziali. Allenamenti a Justina Popovica, partite nel quartiere popolare di Zemun con i primi gol segnati, come riporta la Gazzetta. E da lì Nebojsa Pejovic, presidente del club da una vita, dice: «Lo chiamavamo il piccolo Van Basten. Ma quando entrò qui dentro la prima volta era alto così. Aveva sette anni, era molto timido, ci mise mezz’ora soltanto ad allacciarsi le scarpe. Un’iradiddio: prima partitella, quattro gol". Da lì in poi la scalata: Ofk, Stella Rossa e il Partizan con Milan Ristic: "Avevo già provato a portarlo da noi, ma lui aveva dieci anni e aveva seguito un amico all’Ofk o forse era andato lì semplicemente perché era più vicino a casa. Poi arrivò la Stella Rossa, che incredibilmente non sembrava credere molto in lui e allora io tornai subito alla carica, convincendolo che al Partizan eravamo sicuri delle sue qualità. Lo tenevo sul campo anche dopo l’allenamento a correggere i difetti. E lui non mollava mai, era una macchina già da bambino. In Serbia abbiamo sempre avuto talenti in grande quantità, ma spesso finiscono per perdersi. Dusan no, un ragazzino così giovane con la sua mentalità era merce rara ieri come oggi".
Oggi Vlahovic sfida la Svezia in Nations League con l'obiettivo di risalire dal momento difficile, da riprendersi e tornare a sorridere, per poi riportare quella felicità anche alla Juve.