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Diciamo che c’è riuscito. A modo suo,  tra il paesano e il newyorkese, ci è riuscito a trasformare una sonora sconfitta in trionfo. Anzi di più. Rocco Commisso, dopo una partita in cui la Fiorentina ha avuto un possesso palla del 30% contro il 70 della Juve, ha tirato in porta 3 volte contro 8 degli avversari, ha preso 3 goal, ma non ne ha fatti nessuno,  è idolatrato dai  tifosi viola  per una squadra al quattordicesimo posto, con 25 goal fatti e 32 subiti, per la quale, nella sola finestra di mercato chiusa recentemente sono stati spesi ben 90 milioni, considerando bonus e riscatti. Grande stratega della distrazione? Ma no: qualcosa di più e, diciamola tutta, qualcosa che ci voleva, la maschera che mancava nel teatrino del pallone italico.
 
L’esordio di Commisso in Italia non era stato dei più eleganti, con quel giro per Firenze con la sciarpa “Juve merda” al collo. Ora, dopo i 3 “spettacolari” minuti della sua intervista alla fine di Juventus-Fiorentina, qualcuno ha azzardato che finalmente erano tornati i Soprano: l’ira, il broccolino-calabrese, le frasi condite con un ossessivo e minaccioso “ok”, non erano forse quelle della famosa serie? No, non erano quelle e non erano nemmeno il “tutte chiacchere e distintivo” di Al Capone/De Niro negli “Intoccabili”. Commisso appartiene ad un genere meno epico, è la maschera dell’ immigrato che arriva in Italia dopo aver fatto fortuna all’estero: ingenuo, ma prepotente,  furbo,  ma  simpatico ( con la sua faccia alla Lino Banfi ) e soprattutto pieno di quattrini. Ma sì: un insieme fra lo zio d’America, di ritorno al paesello su una Buick con le corna di bue sul cofano, accolto dal sindaco insieme ai cittadini festanti e Decio Cavallo, quello a cui Totò vende la Fontana di Trevi (“Dì  in po’ paisà è un buon bisinis?”). Solo che a Rocco gli hanno venduto la Fiorentina.  E se cominciasse a sospettare che non si tratti di un buon bisinis? Che gli inizi, nonostante un bel po’ di soldi sborsati, non siano poi molto incoraggianti? Che  se uno viene dagli States è  considerato uno scimunito? E, difatti, ci ha tenuto a dirlo: “Non sono mica lo scemo d’America”, con un’espressione da anni’ 60.

Sì, Rocco è un personaggio dei film di Steno e Camillo Mastrocinque, uno che dovrebbe stare tra Nino Taranto, Totò e Memmo Carotenuto, invece si ritrova tra Antognoni e Pradè. Però è talmente simpatico che - come recitava lo slogan d’un famoso dentrificio - “con quella bocca, può dire ciò che vuole”. Infatti, dopo aver sparato a zero contro gli arbitri, a causa d’un rigore “discutibile”, non viene nemmeno deferito ( anche se il provvedimento spetterebbe al Procuratore federale ) mentre pagano i fidi scudieri, i quali  nel ridotto dell’Allianz,  all’ arbitro gliene hanno cantate quattro in italiano e in italoamericano (c’era anche Joe Barone). Poi si meravigliano se gli arbitri si risentono.

Che Rocco non sia solo, ma abbia migliaia di fratelli attorno a sé, esaltati da marketing e retorica antijuventina, lo dimostrano le reazioni alle sue reiterate uscite. Ormai, infatti, non si ferma più. Interviste su interviste, in cui parla di tutto. Ripete sempre che non è fesso, aggiunge che i suoi metodi di lavoro sono semplici ( a chi ha dubbi dice: “vai, quella è la porta” ), che gli arbitri sono come i giudici e devono sempre stare zitti, che voleva comprare la Juventus, ma soprattutto che ce l’ha con Nedved “perché lui chi è, che vuole? Perché io parlo con i Presidenti!” Come dire: “Quello è un sottoposto! Quello non sa chi sono io!” E tutti, commentatori, giornalisti, tifosi, antijuventini della prima e ultima ora, si sono scagliati contro il povero Nedved, reo di aver semplicemente respinto  accuse infamanti e affermato che la Juve aveva meritato di vincere contro la Fiorentina. E chi è mai per dire una cosa del genere? E come si permette? E se la ricorda Madrid? E quando si buttava in area? L’arrogante è lui, mica chi gli dà del sottoposto! Di tutto e di più. I fratelli vanno, dunque,  ben al di là di Rocco, il quale ad abundantiam,  oltre al piglio padronale, sfodera notazioni tecniche acuminate: “Bentancur - dice letteralmente - simula! Avrebbe meritato il secondo cartellino giallo e quindi l’espulsione!” Nemmeno Borlotti, il Presidente di Oronzo Canà, sarebbe arrivato a tanto. Già: peccato che Bentancur non fosse stato ammonito, peccato che Ceccherini lo fermi con il braccio, peccato che tutti  abbiano usato grandangoli, microscopi, radiogoniometri per accertare in maniera “inequivocabile” che non era fallo e nessuno ( a cominciare in telecronaca dagli impavidi Pardo e Guidolin ) si sia preso però la briga di chiedersi, soltanto,  se Igor, in altra circostanza,  non avesse commesso fallo in area su Ronaldo. Chiedersi non certificare in maniera “scientificamente comprovata”. Domande inutili, bazzecole, quisquilie, pinzellacchere per chi ha trovato finalmente un leader, un punto di riferimento, uno che gliele canta ai ladri bianconeri.
 
Sì, quello che impressiona di più non è il gradito ritorno dell’avanspettacolo, ma lo spettacolo di chi ci crede.