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Siamo praticamente ai titoli di coda. Il campionato sta per licenziare l'ardua sentenza finale, quella che il campo sancirà come unica ed indiscutibile verità. Sarebbe veramente cosa buona e giusta uniformarsi al verdetto conclusivo, quale esso sia e da qualunque parte lo si riceva.

Sarebbe! Per meglio dire, sul versante torinese, saremmo pronti a scommettere che ci sarebbero innumerevoli levate di cappello, di fronte ad un'insperata ormai vittoria partenopea.Facciamo di cuore i complimenti a Sarri e truppa per avere dato un senso a questa annata, poiché senza il Napoli, la Juventus avrebbe vinto un altro scudetto il 25 aprile o giù di lì, come se si fosse trattato del solito bicchiere d'acqua del detto popolare. Invece Insigne e compagni hanno impegnato la Signora come nessun altro negli ultimi anni e ciò va riconosciuto: a Torino siamo a favore dell'onore delle armi, mica per niente qui è nato l'esercito, sono nati i bersaglieri, gli alpini e quant'altro.

Ben altra consistenza sotto il Vesuvio. Nella città del folklore, dei luoghi comuni che ci portiamo dietro come italiani, della sceneggiata, del “sole mio”, ogni accadimento ha la misura del dramma, del teatro popolare, tra i vicoli del quartieri spagnoli.

Il capopolo si strappa le vesti come Caifa, così i voti sono in frigorifero, il padrone del vapore spara cartucce al veleno, ipotizzando chissà quale ratto di punti, senza alcun riscontro. E tutti dietro, dal vice sindaco all'ultimo accattone della stazione Centrale.

“La Juve arrubba”, Agnelli, Garibaldi, Cavour, i Savoia, il Diluvio Universale. E poi Orsato, il giallo a Pjanic e la rosa corta e il Barcellona d'Italia. Tutto gridato, urlato e imposto durante le invasioni barbariche alla conquista delle città sotto assedio. Tranne che Torino, perché a Torino se c'è di mezzo il bianconero, c'è pure uno stadio di proprietà ed i danni hanno luogo una volta sola e “non plus ultra”.

Non resta che drizzare le orecchie per captare, quand'anche in maniera lieve quasi impercettibile, i cori che provengono dalle curve, onde protestare immediatamente per qual si voglia parvenza di discriminazione territoriale. Ovviamente a targhe alterne: se si tratta dei tifosi viola che “abbiamo un sogno nel cuore, Napoli usa il sapone”, in fondo sono toscanacci mordaci e ci si può ridere su. Se sono invece i tifosi juventini convenuti all'Olimpico, vittime del cattivo esempio fiorentino, allora si grida allo scandalo e con la forza degna delle oche del Campidoglio, per farsi sentire meglio. Ci troviamo di fronte alla taratura dei cori antinapolisti in funzione di ciò che sta al di qua delle squalifiche. Un fenomeno da mandare a studiare ad Harvard.

Ma come? Ci levano uno scudetto che era già nostro, con il signor Questore in faccende affaccendato ad organizzare una festa da far impallidire l'ultimo dell'anno, con le bombe di Maradona già inserite nel mortaio ed in più ci prendono anche per il fondo schiena senza pagare dazio?

Non sia mai, mandiamo avanti le truppe cammellate dei migliori legali della città, a fare collezione di esposti contro ignoti, per contribuire allo snellimento dei tribunali, ignorando bellamente la clausola rescissoria. Gli errori degli arbitri non sono reati, ma vaglielo a far capire.

Ed il popolo azzurro “chiagne”, perché la Juve ruba. Mica perché al momento di trarre vantaggio dalla vittoria dello Stadium, il peso della responsabilità ha schiacciato la squadra fino al punto di ottenere un solo punto su sei. La colpa è del V.A.R., quell'aggeggio inaugurato contro la Juventus (Bergamo, ad esempio) e mai attivato al San Paolo. Non è stato detto che le tecnologia riduce gli errori? Certo, a patto che il Napoli sia il testa, altrimenti è il contrario. La proprietà transitiva applicata a Fuorigrotta.

Siamo ai titoli di coda ed i cineasti si apprestano al gran finale, scene madri da applausi a sipario alzato, per arruffianarsi la piazza che talvolta contesta il padrone. Colui che ci ha messo il grano, che non vuole grane e che soprattutto non ha voglia alcuna di finire come un Pulcinella qualunque. E poi, Pulcinella è vestito di bianco e con la maschera nera. Non diciamolo forte che se a Napoli se ne accorgono, lo ripudiano. In alternativa la concorrenza è feroce: il sindaco, il presidente, il procuratore federale, il giornalista R.A.I.: tutti degni commedianti nel carnevale 4.0.