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Ma non era l’ultima scelta? Il last minute? Non erano meglio Milik e Dzeko? Stiamo parlando di Morata e non per bacchettare previsioni azzardate (un po’ di rischio lo contengono sempre) piuttosto per dire come il bello del calcio stia anche in qualcosa che va oltre la tecnica, l’atletica, la statistica.

Ma sì, chiamiamolo sentimento o, se volete, come Garcia Lorca, duende: un nucleo segreto, una verità emotiva, un’ispirazione coraggiosa e un po’ misteriosa. Ebbene el duende di Alvaro Morata altro non è se non l’entusiasmo. Entusiasmo per essere tornato a Torino e indossare la maglia d’un tempo. Sì, perché nel calcio può esserci anche questo, nonostante sia una professione e una prestazione, nonostante conti l’aspetto economico, la programmazione, la dieta… Morata, ex Atletico e Real, fiorì definitivamente con la Juve, in cui fu protagonista di prestazioni memorabili, ma era anche la città a piacergli. Spesso nel tempo libero fioccavano i selfie con decine di ammiratori e ammiratrici, e la sua disponibilità era nota, il suo buon umore costante. Italiana è sua moglie, Alice Campello che Morata conobbe proprio in Italia dove ha accettato di tornare in bianconero senza aumenti di stipendio rispetto a quello percepito nell’Atletico.

Ora, dopo lo scetticismo iniziale sembra il giocatore perfetto tanto che Pirlo lo ha incoronato come “completo”. A dir la verità quei movimenti senza palla in area (sempre un po’ carenti negli ultimi centravanti juventini), la capacità di dettare il passaggio, il cambio di velocità, Morata li aveva mostrati fin dall’inizio, ma in Inghilterra e in Spagna qualcuno parlava d’una certa involuzione, anche se lui andava dritto per la sua strada senza farsi troppe domande sull’essere una prima o una seconda punta, un opportunista o un manovratore. Però i dubbi permanevano. Per fugarli del tutto ci voleva quel grande amore da lui mai rinnegato: la Juve.