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Michele Padovano non è stato il più grande narcotrafficante del mondo del calcio. Ma non è mai stato nemmeno un narcotrafficante, il problema è che ci sono voluti 17 anni per capirlo, o meglio per metterlo nero su bianco. Per lui 17 anni di processi, la prigione, gli arresti domiciliari, l'obbligo di firma e migliaia di carte presentate ai giudici. 
Era il 10 maggio 2006 quando tre macchine sbarrano la strada a Padovano, ex attaccante, tra le altre, della Juventus con la quale ha vinto uno scudetto e una Champions League, oltre a una Supercoppa Uefa, una Coppa intercontinentale e due Supercoppe Italiane. Da quelle macchine scendono quattro agenti in borghese, che lo trascinano fuori dalla sua auto per portarlo alla caserma di Venaria Reale. 
Per lui è l'inizio di un calvario, di un travagliato cammino che lo vede "giocare" in difesa per vincere la partita più importante, quella per la vita vera, da cui nonostante tutto ha saputo trarre una grande lezione. Lezione che, una volta riconquistata la libertà il 31 gennaio 2023, ha voluto raccontare nel suo libro "Tra la Champions e la libertà", edito da Cairo e scritto in collaborazione con Andrea Mercurio. 

Lo ha raccontato a noi de ilBianconero.com, parlandoci a cuore aperto come è abituato a fare.

- Come è arrivato alla stesura del libro e che cosa prova ora a poterne parlare?
Inizialmente non ero d'accordo sull'idea, dopo tutti questi anni ero diventato geloso delle mie cose, della mia famiglia. Ma poi parlandone bene con i miei cari abbiamo scelto di farlo per lasciare una testimonianza scritta di quanto successo, del mio calvario, con la speranza che possa aiutare qualcuno a risolvere piccoli grandi problemi della vita.

- Per lei è cambiato tutto da un momento all'altro.
Sì, mi sono trovato in una situazione che avevo visto solo nei film o in televisione. Ma io ho sempre creduto che ci sarebbe stato qualcuno in grado, prima o poi, di rendersi conto della mia innocenza. Purtroppo ci sono voluti tutti questi anni ma sono contento di poter raccontare ciò che è stato, a differenza di altri che marciscono in galera da innocenti o si ammalano fino alla morte. Se prima tendevo ad essere superficiale su certe cose, ora sono più legato ai valori della famiglia, alle cose che contano davvero. 

- Chi è rimasto al suo fianco, nonostante tutto?
In molti sono scesi dal carro, ma credo che scappare quando le cose vanno male sia un po' insito nel genere umano, al di là del mondo di provenienza di ciascuno. La mia famiglia non mi ha mai abbandonato, poi ho conosciuto il valore dell'amicizia vera con Gianluca Presicci (ex difensore, tra le altre, di Modena e Bologna, ndr) e Gianluca Vialli.

- Quale ricordo conserva di Vialli?
Non passa giorno senza che gli dedichi un pensiero. Per me è stato importantissimo, mi è stato vicino anche nei momenti più terribili, non mancava mai di chiamare la mia famiglia dopo ogni colloquio in carcere. Una persona così non morirà mai davvero.

- Qual è stato il momento in cui si è reso conto che avrebbe potuto farcela, a cambiare il suo destino?
Quando ho cambiato i miei avvocati, che mi hanno rimandato a processo dopo la Cassazione. Lì ci ho creduto davvero, anche se pure prima non ho mai smesso di farlo perchè avevo la verità in tasca, ho sempre camminato a testa alta, con dignità, sapendo di essere innocente. Avrei fatto a meno di tutto questo, ma adesso è inutile recriminare e guardarsi indietro.

- E quali sono stati, invece, i momenti più difficili?
Tanti, tantissimi, dall'arresto al processo, fino alla condanna in primo grado. Ma in testa avevo i miei maestri, che mi hanno insegnato a non mollare mai, anche quando ci sono situazioni drammatiche e tragiche. Ora non ci penso più e mi godo finalmente questo periodo, sperando che il libro possa aiutare qualcuno.

- Ha detto che il carcere è stato per lei una lezione di vita.
Ho sentito grande sensibilità, ma non posso dire la stessa cosa di quando sono uscito. In Italia nessuno è davvero garantista, invece mi piacerebbe vivere in uno Stato dove il garantismo è nella testa di tutti. Qui nel giorno dell'arresto sei già condannato, ed è un grande errore. Inoltre nel nostro Paese l'iter dei processi è molto lungo, ma non si può lasciare una persona "appesa" per 17 anni. Capisco tutto, ma cinque o sei potrebbero anche bastare...

- Il dato è di pochi giorni fa: nel 2024 nelle carceri italiane si sono registrati già 25 suicidi. Cosa ne pensa?
Le carceri italiane sono schifose. È giusto che chi sbaglia paghi, ma la dignità va sempre salvaguardata. Ogni tanto vedo documentari che mostrano celle con le docce, ma dove sono (ride con amarezza, ndr)? Per forza che poi la gente non ce la fa... Credo che un Paese civile non debba permettere trattamenti che ledono la dignità. Mi piacerebbe molto fare qualcosa per aiutare i detenuti, quindi se qualche ente o associazione volesse parlarmi di un progetto sarei felice di contribuire.

- Non le piacerebbe, invece, tornare nel mondo del calcio?
Il calcio per me è sempre una grande passione, guardo tante partite anche di squadre estere. Mi piacerebbe molto tornare a farne parte. Ho ancora l'attestato da direttore sportivo e percepisco grande sensibilità nei miei confronti, anche dalle squadre con cui ho già collaborato.

- Quanto è cambiato il calcio rispetto ai suoi tempi?
Il calcio è in continua evoluzione, cambia ogni quattro-cinque mesi e bisogna essere sempre aggiornati. Oggi è molto più business, prima c'erano tanti presidenti animati solo da grande passione, oggi ci sono più fondi e multinazionali che guardano i numeri. Ma secondo me è uno sport che deve essere legato alla passione vera, che mi auguro che possa tornare per far crescere i ragazzini nel modo migliore e trasmettere loro le idee giuste.

- Quali sono le realtà che segue con più attenzione?
Sicuramente la Juventus, con cui ho avuto la fortuna di vincere tanto. Sarò sempre riconoscente alla società e ai giocatori di allora, la guardo con un occhio particolare, ma seguo il calcio in generale, anche quello estero. Mi piace molto la Premier League, dove giocano un calcio molto divertente. 

- La prossima estate si disputerà l'Europeo, come vede la Nazionale italiana?
La vedo bene, credo sia stato scelto il miglior allenatore possibile per una ricostruzione "dal basso". L'unica persona su piazza in grado di dare soddisfazioni è proprio Spalletti, sono sicuro che farà un gran lavoro e lo si vedrà già dall'Europeo. È uno che vuole innanzitutto passione, e già questo mi lascia ben sperare. Questo non può mancare a chi veste quella maglia. 

- E la Juve? Come la vede nel prossimo futuro?
Anche lì c'è la persona giusta al posto giusto. Parlo di Giuntoli, l'uomo migliore possibile per questa fase. Ha portato il Carpi dalla Serie D alla A e ha vinto uno scudetto a Napoli. L'anno scorso non ha potuto operare come voleva per le ragioni che sappiamo, ma a breve vedremo il suo lavoro "vero" e finalmente la Juventus tornerà sui propri livelli, magari per provare a vincere che in fondo è sempre l'unica cosa che conta.