Redazione Calciomercato

Massimo Zampini: ‘La dice bene Comolli, frustrazione è la parola giusta. Ci vogliono ambizioni all’altezza della Juventus’
In seguito ci sarebbe stato tempo per diverse rivincite, dalla più importante prima di Roma 96 con Del Piero e Padovano fino alla partita perfetta – ammonizione che sappiamo noi a parte – del 3-1 contro Figo, Zidane e Ronaldo, passando per la standing ovation a un Del Piero 34enne che non la smetteva di incantare il mondo. Anche tante amarezze, d’altronde contro il Real è normale: da Cardiff alla rovesciata con applauso a Cr7 fino al famoso rigore all’ultimo secondo per vanificare una delle più incredibili rimonte della storia del calcio.
Poi c’è stata la partita di ieri, del Mondiale per Club. Abbiamo perso e il minuto dopo ho spostato su una serie. Missione compiuta: la stagione infinita è finalmente terminata, nessuna umiliazione, anzi, si è rivisto pure un certo spirito che può fare sperare in un futuro migliore. Ora però fammi vedere come finisce la serie.
Frustrazione, dice Comolli, indovinando la definizione più accurata per descrivere lo stato d’animo della Juventus e dei suoi tifosi: il sollievo per la fine della stagione, per non avere subìto un’imbarcata, per avere raggiunto in extremis il quarto posto, perché gli altri tanto presuntuosi e pompati hanno perso tutto e male, perché nell’allenatore di oggi non facciamo fatica a identificarci, tutto questo non può essere spiegato meglio rispetto al termine “frustrazione”.
Non essere all’altezza e accettare serenamente di non esserlo; dovere rispondere a chi chiede seriamente se siamo contenti di essere usciti così (e Locatelli, che non sarà un fenomeno ed è il solito bersaglio ma oltre a dare tutto in campo conosce la Juventus anche da tifoso, guarda in modo strano chi fa la domanda); questo stato di disaffezione rispetto alle partite che comporta una minore attesa, minore tensione, minore rabbia quando si perde; quel perenne pensiero del tipo “se non si difendono loro, chi me lo fa fare?” sulle tante polemiche che accompagnano la squadra per cui facciamo il tifo.
Tutto questo, cara Juve, va cambiato. Non si tratta solo di vincere, quanto almeno di competere realmente, di avere ambizione all’altezza della nostra storia, di ritrovare spirito e identità dentro e fuori dal campo, di vedere giocatori pronti a tutto per indossare quella maglia, lasciando per strada chi pare più divertito che spiaciuto quando si perde una partita.
Ripartire con questo obiettivo. Perché ci sono anche segnali positivi in vista di una ripartenza come si deve, se si pensa che Yildiz e Thuram sembravano due del Real, Di Gregorio uno di quei portieri fantastici della nostra storia e, anche se forse ci abbiamo provato troppo poco, nessuno ha mollato fino alla fine, dando tutto quello che aveva (oddio, chi è entrato nel secondo tempo forse un po’ meno), uscendo stremato e spiaciuto.
Forse non è abbastanza ma è certamente un inizio da coltivare per fare sì che, dopo la prossima sconfitta col Real, ci colga la rabbia del 1987, quella che proprio non riesce a passare e che non ci permette di cambiare subito canale per guardare vedere come va a finire quella serie.
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