commenta
Malinconia e disincanto spalmati sulla base di una educata ma profonda rabbia. La classica reazione che i bambini di tutto il mondo manifestano il giorno in cui papà e mamma dicono loro che Babbo Natale non esiste e che il mondo, purtroppo. non è una favola. Per un istante tutto intorno sembra crollare. Resteranno i sogni sotto le macerie. Soltanto qualche coraggioso Peter Pan continuerà con innocente tenacia a coniugare la vita attraverso il metronomo delle sue più tenere fantasie alle quali era stato tanto bello potersi aggrappare.

E’ questo il senso che emerge in maniera molto netta dalle frasi, scritte in maniera esemplare e con il pieno rispetto per i congiuntivi e per la consecutio, della lettera che Claudio Marchisio ha voluto inviare pubblicamente a tutti i tifosi della Juventus e, immagino, non soltanto a loro. Un congedo che oltre a meritare grande rispetto spinge anche ad alcune importanti riflessioni sul come eravamo e che cosa siamo diventati strada facendo. Prima o poi per tutti i calciatori del mondo arriva il momento dell’addio alle armi. I più consapevoli, solitamente campioni, se ne accorgono da soli come Boniperti, Platini e Zoff. Altri si ostinano a voler insistere con risultati talvolta patetici. Alcuni, infine, vengono congedati o sono costretti a farlo malgrado nessuno abbia mai udito il suono dell’ultima campana. A Claudio Marchisio è capitato esattamente questo.

Dal punto di vista strettamente “aziendale” l’evento ci sta tutto e non deve stupire più di tanto. Il giocatore, non solo da oggi, era ormai considerato da Massimiliano Allegri e dalla società un lusso del quale era possibile fare tranquillamente a meno. Anzi, probabilmente avrebbe potuto rivelarsi un elemento di “disturbo” tecnico e tattico per l’intero impianto in virtù della sua presenza e della sua valenza “pesanti” sotto il profilo carismatico. Sotto l’aspetto etico, invece, ci troviamo di fronte ad un evento impossibile da liquidare con un semplice ”tante grazie, arrivederci e buona fortuna” proprio perché Marchisio, con addosso e dentro la sua storia umano-professionale di sole tinte in bianconero, rappresenta un “caso” differente da tutti gli altri.

E’ stato ed è l’ultimo degli Juventus boy. Un marchio di fabbrica indelebile che gli venne tatuato sulla pelle e nell’anima quando aveva appena sette anni e, probabilmente, credeva nella favole e nella loro magia. Sicché lui, il “Principino”, mai e poi mai si sarebbe atteso un epilogo come questo nel quale gli veniva annunciato che Babbo Natale non esiste e che i sogni sono destinati a svanire perché la vita non è una favola. Una brutta storia perché nessuno ha il diritto di uccidere Peter Pan. Marchisio meritava un finale completamente diverso.