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Paolo Maldini si racconta. A Radio Serie A l'ex dirigente e leggenda del Milan ha svelato: “Da bambino ero tifoso della Juventus. A me piaceva il calcio, sapevo del passato di mio papà, essendo tifoso in generale amavo la nazionale e avevo visto il Mondiale del ’78 che era la Juventus in sostanza, più Antognoni. Ero innamorato di Cabrini e Rossi. Mi sono appassionato a quella storia. Ho seguito la Juventus come se fosse la nazionale, ma nel ’78 ho fatto il provino al Milan e le cose sono diventato milanista”.

Paolo Maldini si racconta a Radio Serie A: svelata la sua fede juventina


LA CRITICA - "Da bambino mi piaceva giocare all’attacco e dribblare: facevo l’ala destra. Nel calcio moderno non si sviluppano più certe caratteristiche. Nel settore giovanile non esisteva la tattica. Esisteva l’uno vs l’uno. Nei vivai non si insegna più la tecnica ma solo tattica”

IL PRESENTE - "Lo sto vivendo bene, dopo 5 anni intensi. Lo sto vivendo come dopo il mio ritiro, poi ho iniziato l’avventura con il Milan”.

VITA DA CALCIATORE - “È dura fare il calciatore. C’è una competizione pazzesca con gli altri: il 98% fallisce. Ognuno alla propria maniera sa che quella è la passione e gioia. La carriera mi ha tolto qualcosa? Sì, mi ha tolto magari un pezzo di gioventù. Ma si può dire che mi abbia tolto qualcosa? No, lì è iniziata la mia disciplina, il mio sacrificio. Sentirmi realizzato per la cosa che volevo fare è stata la cosa più bella”.

BERLUSCONI - “A me piaceva molto la sua idea di giocare bene, vincere e rispettare l’avversario. Quando diceva che gli faceva piacere che vinceva l’Inter, lo diceva veramente. Complimentarsi con l’avversario a fine gara era un insegnamento. Berlusconi ha vissuto il calcio come passione, questo si sente e si trasmette. Che cosa crea un ambiente vincente? La città, il luogo di lavoro e le persone. Le relazioni coltivate nel tempo portano qualcosa”.

SACCHI, CONTE, CAPELLO - “Noi ci siamo messi a disposizione, ma fu fisicamente e mentalmente durissimo. Non c’era abbastanza conoscenza dal punto di vista fisico. Io credo di essere andato in over-training per più mesi. Avevamo alti e bassi all’inizio. La diffidenza era dovuta da un adattamento al lavoro fisico. Lui ci insegnò a vincere? Il Milan di quegli anni aveva grandi giocatori, con una delle difese più forti di sempre. Con lui perché è finita? È normale. Quando trovi un allenatore così esigente, è un prodotto che ha una scadenza. Quando sei così ossessionato, ti consumi facilmente. Questo succede a tutti i grandi allenatori. Sembrava la descrizione di Conte quella di Sacchi? Sì, è così. Tutti gli insegnamenti poi te li porti dietro e li adatti al tuo futuro. Capello era un uomo di campo. Ti diceva tantissime cose, era una persona molto pratica. Ha proseguito il lavoro tattico e fisico di Sacchi. La squadra di quegli anni fu in assoluto la squadra più forte. Ha aggiunto un minimo di praticità ad un concetto utopistico a volte, come quello di Sacchi. Era la perfetta combinazione. Liedholm, Sacchi, Capello: la fortuna di averli avuto in quest’ordine".

I TOP - “I più forti con cui ho giocato? Franco Baresi come forza morale e caratteristiche difensive. Van Basten era incredibile. Ronaldo e Ronaldinho i più forti tecnicamente che ho mai visto giocare. Il Ronaldo dell’Inter era immarcabile: impossibile da fermare…”

LA COPPA PIU' BELLA - "Difficile dirne una. Sono tutte belle, distribuite non nel corso di 3 anni fantastici, ma 20-25 anni. Quella di Manchester arriva 9 anni dopo l’ultima appena alzata. Fu forse quella più ambita perché ero capitano”.

FUTURO - "Non ce la farei a vedermi in un club diverso dal Milan in Italia. All’estero sarebbe diverso”