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A pochi giorni dalla sua discesa in campo con la bandiera “Never give up”, la campagna a sostegno dell’Italia che soffre e di coloro che combattono in prima linea fa registrare uno score eccellente. Raccolti già 400mila euro e il bilancio è in costante crescita.

E’ il frutto, concreto, dell’ultima iniziativa geniale di Lapo Elkann il quale, insieme con la Croce Rossa ha dato l’ennesimo senso compiuto rispetto “al voler fare” della Fondazione LAPS di cui è stato fondatore ed è presidente. Associazione nata con lo scopo di aiutare quella parte di umanità in permanente difficoltà non soltanto economica.



Intorno a lui si sono compattati tanti personaggi importanti del mondo calcistico e dello spettacolo: da Ronaldo a Dybala, da Buffon a Del Piero, da Leclerc alla Pellegrini. A loro si potrà aggregare chiunque provi il bisogno di dedicarsi un poco al prossimo, anche quando l’attuale crisi sanitaria sarà passata ma esisteranno comunque altre mille situazioni per dover intervenire.

Lapo Elkann, sempre di più, si sta proponendo all’opinione pubblica come la figura dell’imprenditore illuminato il cui sguardo va ben oltre il confine del profitto. Una ideologia esistenziale piuttosto  rara che non è frutto di un atteggiamento formale o radical chic ma di un convincimento interiore le cui radici affondano in un terreno ben fertile e governato da un preciso dna.

In buona sostanza Lapo, consapevolmente ma anche per innato istinto, si è messo nelle condizioni ideali per realizzare ciò che suo zio Edoardo Agnelli non poté fare per mille motivi o forse soltanto perché i tempi non lo permettevano. Quando il figlio dell’Avvocato morì, a novembre saranno trascorsi venti anni, Lapo soffrì tremendamente. “Un dolore insopportabile come quello provocato da un violento schiaffo sul viso che ancora oggi mi fa male”, ebbe a dire bel corso di una chiacchierata televisiva a cuore aperto con Giovanni Minoli. Dopo la scomparsa di Edoardo il ragazzo, aveva ventitré  anni, chiese di poter avere e indossare al polso il braccialetto del fratello di sua mamma Margherita. Non se ne separò mai.

Un “laccio” che poteva rappresentare una promessa, come di fatto è stato, significata dalla volontà da parte di Lapo di realizzare concretamente alcune delle opere che per Edoardo erano rimaste sul piano etereo del sogno. Una in particolare. Quella di vivere la vita dedicando una parte importante di essa agli altri e in particolare ai meno fortunati. Con una Fondazione, appunto. Un atteggiamento filosofico che mal si adattava alle rigide regole dettate dal capitalismo industriale del quale il patriarca Gianni Agnelli era il simbolo. Una posizione che in Edoardo radicò l’idea di essere un “rifiutato” con tutte le tragiche conseguenze del caso.

Medesimo percorso, vissuto in parallelo, per Lapo anche lui giudicato dal sistema troppo bizzarro e poco affidabile per mettersi al volante di macchine complesse come, per esempio, la Juventus o la Ferrari. Ma a differenza dello zio il giovane Elkann, oggi uomo, ha saputo reagire con audacia anche a quel sottile richiamo dell’autodistruzione fisica e mentale che può spingere ad abbandonare la lotta. E ha vinto la guerra, dopo tante battaglie perdute. Anche nel nome dello zio Edoardo una parte del quale continua a vivere in Lapo.

 

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