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Quella in programma oggi al Meazza è la sfida numero 242 per la Juventus e l’Inter contrapposte a livello ufficiale. In pratica la storia del pallone italiano sintetizzato in quella gara che Gianni Brera battezzò il “derby d’Italia” perché andava oltre i confini sportivi per tracimare nel terreno del sociale di due città, Torino e Milano, le quali con Genova formavano il triangolo industriale del nostro Paese.

Pescare nel sacchetto dei numeri ed estrarre quello che piace di più a ciascuno di noi perché rievoca imprese leggendarie e nomi di protagonisti mitici è un’impresa complicata. Per ognuna di quelle partite esistono motivi per ricordare, nel bene come nel male, così come per rimpiangere, protestare, esultare.

Una cosa è certa: Juventus e Inter non hanno mai dato vita a incontri banali. Le cronache, dagli inizi fino ad oggi, sono piene di fatti e misfatti assortiti. Personalmente mi piace dire che la gara più bella fu quella che, paradossalmente, durò soltanto venti minuti e che quindi di fatto non venne mai disputata.

Era il 16 aprile del 1961 e il Comunale di Torino si apprestava a vivere quella che i media di allora avevano timbrato come “La partita dell’anno”. In effetti dal risultato di quell’incontro poteva dipendere l’assegnazione dello scudetto. La Juventus stava davanti all’Inter di quattro punti, ma un successo del nerazzurri avrebbe messo tutto in discussione.

Era l’Inter del mago Helenio Herrera. Era la Juventus di Sivori. Tra i due ero odio puro. Sessantuno mila biglietti venduti, Il massimo della capienza. Ma all’esterno del Comunale almeno ottomila persone si erano radunate sperando di entrare. Sugli spalti non passava uno spillo, Ma viste tante bandiere bianconere sventolare tutte insieme. Avevo quattordici anni e Omar era il mio idolo. Schiacciato a mio a padre mi preparavo a vedere il film della vita.

Mezz’ora prima dell’inizio si scatenò un temporale mai visto. Beati quelli della tribuna. Gli altri, tutti noi, eravamo zuppi e tremolanti. Ma il diluvio non aveva allontanato la folla dell’esterno che, in qualche modo, era riuscita a entrare nello stadio. A ripensarci adesso c’è da avere paura, poteva accadere di tutto. I giocatori in campo e il cancello principale che cede di schianto per l’insostenibile peso umano. Bianconeri e nerazzurri si fermano e poi fuggono negli spogliatoi. Lo speaker annuncia che fino a quando ci sarà gente in campo il gioco non potrà riprendere. Impresa impossibile. Non ci sono varchi per uscire, né spazi nuovi da occupare.

Gli invasori si sistemano dietro la linea che determina il perimetro. Tornano i giocatori e l’arbitro Gambarotta fa riprendere la gara. Durerà venti minuti. Herrera si alza dalla panchina e indica al direttore i due poco tranquillizzanti signori che si sono seduti al suo fianco. Il mago è pallido in volto, ha paura. Neppure i giocatori sono sereni. L’arbitro immagina con terrore che cosa potrebbe accadere se assegnasse un rigore. Impossibile continuare. Tutti a casa. Nella calca ho perso una scarpa. Mi tolgo anche l’altra e fradicio di pioggia do la mano a mio padre. Andremo al cinema, magari.