commenta
Non è nient'altro che questa, la risposta dei campioni. Non è nient'altro che il silenzio, il lavoro, l'attesa unica per l'opportunità successiva. Dusan Vlahovic ha riscritto una nuova storia, ma soprattutto si è scrollato di dosso la paura di non essere più il predestinato. L'uomo con il mandato di riportare la Juve nella vecchia dimensione. E' che gli servono certezze. E le certezze le portano i gol. E' il vecchio pregio-difetto di tutti i centravanti: i dubbi sanno assalire con più prontezza dei difensori, tutto si basa nell'istante in cui il destino si allinea con quel tentativo verso la rete. E' dentro: sei divinità. E' fuori: è tutto buio. 

I GOL PER RIPARTIRE - Anche da questo step mentale passa tutta la stagione di Vlahovic. Che non deve arrabbiarsi - ed è uno dei motivetti di Allegri - e quindi perdere lucidità, che deve stare lì, abituarsi anche a non prenderla, per poi sprigionarsi quando la Juve ingrana la folata giusta. Non è più la Fiorentina e non è necessariamente una buona notizia, almeno dal punto di vista delle occasioni e del gioco: non c'è più servitù nell'intorno, certe storie deve scriverle sin dall'introduzione. Vedi il rigore: è andato a scavare il petto dell'avversario ed è caduto al momento giusto. Un'opportunità unica, anche per combattere vecchi fantasmi. Ghostbusters sarà il suo film preferito

CON FIDEO O SENZA - Il suo personale raddoppio è l'essenza del nove: movimento senza palla, sfruttata anche la deviazione, il destro di prima intenzione che taglia il primo palo. Va da sé: aveva già scrollato tutta la sfiducia del precampionato, eliminato quel macigno dallo stomaco e dalle gambe. Pesanti, comunque, nei primi minuti. Poi sempre più fluide, armi importanti nelle ripartenze veloci, ormai specialità della Juve remissiva ma attenta, che rischia il giusto. Si riparte da qui. Dalle azioni che valgono una reazione. Chissà se decisiva. A prescindere, indicativa.