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I vent’anni rappresentano l’età delle grandi passioni. In testa alla mia classifica ci stava il calcio declinato al bianconero. A seguire la prima fidanzatina della serie bacetti o, al limite, un poco di petting in galleria al cinema. Nel 1967 se ne era aggiunta un’altra. Quella di cominciare a lottare per un mondo migliore e per una società più giusta. Il Sessantotto si avvicinava. Tre passioni che spalmavo lungo il week end. Sabato pomeriggio in corteo con i compagni del Movimento Studentesco. La sera in una sala di seconda visione con Francesca e poi in pizzeria. Domenica allo stadio Comunale con in spalla la bandiera della Juventus.

Per noi “gobbi” non erano anni particolarmente esaltanti. A dettare legge nel campionato italiano e anche in giro per il mondo era l’Inter di quelli che sembravano imbattibili (Facchetti, Mazzola, Corso, Picchi, Jair…quanti campioni!) guidati da un allenatore stravagante ma bravissimo chiamato il Mago, Helenio Herrera. Si arrivò all’ultima giornata e, tanto per cambiare, i nerazzurri erano avanti in classifica. Un solo punto di vantaggio, ma che sembrava poter bastare per vincere lo scudetto, malgrado la squadra milanese fosse traumatizzata (ma anche incazzata) per la sconfitta in Coppa del Campioni subita dal Celtic. Noi saremmo arrivati secondi, accidenti.

Era ciò che pensavo quella mattina del primo giugno mentre, dopo pranzo, arrotolavo la mia bandiera bianconera prima di uscire di casa per andare a prendere il tram che mi avrebbe portato al Comunale. In programma c’era Juventus-Lazio e la squadra della capitale sarebbe scesa in campo con la rabbia e il furore di chi è all’ultima spiaggia per evitare la retrocessione L’Inter, da parte sua, giocava a Mantova contro un avversario che, già salvo, aveva più nulla da chiedere al campionato. Insomma, la classica domenica da sbrigare come una triste formalità per via del destino già segnato. Malgrado questi cattivi pensieri non potevo disertare lo stadio.

Anche quella sarebbe stata una giornata “muta” nel senso che la radio non avrebbe trasmesso “Tutto il calcio minuto per minuto” proprio come nelle due settimane precedenti. La Rai non voleva condizionare in alcun modo la regolarità finale del torneo per cui nulla si sarebbe saputo di quel che accadeva sugli altri campi se non dopo il novantesimo a giochi fatti. Un silenzio stampa che metteva un poco di ansia ma che, nel contempo, permetteva di fare qualche piccolo sogno proibito.

Il campo la solita Juventus. Quella squadra formata più che altro da “operai” ovvero la classe di professionisti più amata da Heriberto Herrera il quale era un allenatore tutto votato al “movimento” e alla “palla a terra e pedalare” tanto che era riuscito a sbarazzarsi del geniale Omar Sivori con il quale era venuto in contrasto fin da subito. Eccezion fatta per Chinesinho, Zigoni e Favalli il resto della Juventus poteva contare su elementi di grande volontà ma di scarsa fantasia interpretativa per andare in gol. Era così che funzionava.

Quel giorno, però, tirava un’aria particolare, fin speciale. E non era soltanto la brezza dolce che annunciava l’estate. Bercellino, stopper detto “Berceroccia”, si fece subito male. Le sostituzioni non erano previste dal regolamento, sicché venne spostato in avanti e continuò a giocare mezzo zoppo. Era uno tosto e non mollava mai. In area laziale incornò di testa una palla imprendibile. Uno a zero. Poi toccò a Zigoni il compito di raddoppiare e lui risolse la questione con una rete “folle” come lui. Due a zero. La beffa della vittoria di Pirro, pensavo, perché certamente a Mantova l’Inter stava facendo sfracelli.

Invece no. Il portiere nerazzurro Giuliano Sarti, che due stagioni dopo sarebbe arrivato alla Juventus, ne aveva combinata una inimmaginabile per un campione come lui. L’attaccante del Mantova Di Giacomo aveva crossato verso la porta un pallone “a perdere” che praticamente Sarti aveva smanacciato facendolo finire in rete alle sue spalle. L’Inter dunque perdeva alla fine del primo tempo e la Juventus l’aveva scavalcata in classifica. Nessuno di noi, però, poteva saperlo. Fu soltanto a pochi minuti dalla fine della partita che vista la frenesia con la quale stavano giocando i bianconeri venne naturale immaginare che qualcosa di speciale bollisse in pentola. Frenesia che si trasformò in rabbiosa reazione quando la Lazio, con Di Pucchio, accorciò su rigore agitando lo spettro del pareggio. Mancava pochissimo alla fine quando, osservando verso la tribuna stampa, vedemmo da lontano gente che saltava e che si sbracciava in segno di esultanza. Capimmo che l’Inter stava incredibilmente perdendo. Notizia che confermò lo speaker del Comunale al fischio dell’arbitro. I nostri “operai” bianconeri avevano vinto uno scudetto “impossibile”. L’invasione di campo successiva fu bellissima.