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Una finale di Coppa si può anche perdere. Fa parte delle regole del gioco. Il modo in cui la Juventus di Sarri ha praticamente “non partecipato” alla gara con il Milan e poi a quella decisiva contro il Napoli (zero gol, tre rigori falliti) stride con le legittime aspettative della vigilia e impone più di una riflessione.

Eravamo tutti consapevoli del fatto che la ripartenza del calcio giocato, dopo la lunga e tormentata parentesi dovuta subire per le gravissime ragioni sanitarie, avrebbe rappresentato uno snodo cruciale e inedito per tutti i protagonisti. Bene o male ciascun giocatore “pensante” non avrebbe potuto evitare di ripresentarsi al lavoro psicologicamente provato da quarantene, contagi, timori assortiti per se stessi e per i loro cari, necessità di ritrovare la giusta forma fisica, il pensiero di dover giocare senza il sostegno dopante del pubblico. Tutti elementi altamente condizionanti che la Juventus di Sarri ha dimostrato di aver patito più delle altre concorrenti e in particolare del Napoli di Rino Gattuso che, al di là dei rigori, ha meritato ampiamente sul campo la conquista della Coppa.

Mi piace sottolineare per bene, accanto al nome delle due finaliste, quelli degli allenatori chiamati a preparare la sfida. Gattuso e Sarri, appunto. A loro due e al loro lavoro, non soltanto strategico, va il merito del successo e il demerito del fallimento. Il tecnico del Napoli ha costruito la vittoria dei suoi ragazzi partendo da lontano avvero dai giorni del lockdown in cui il gruppo era sfaldato e collegato soltanto da remoto. Ebbene io sono convinto che Rino, in attesa di tornare al lavoro, non abbia abbandonato per un solo giorno i suoi giocatori badando soprattutto alla loro anima. Non un semplice allenatore ma una guida attenta al lato più delicato dei suoi giocatori che in campo, lo si è visto a fine gara, hanno lottato e vinto per lui.

Sotto questo profilo appare evidente che Maurizio Sarri, certamente ottimo tecnico ma carente in psicologia applicata a quella categoria di lavoratori sempre border line come i giocatori, ha mostrato tutti i suoi limiti di “ragioniere” poco incline a tenere in conto le mille sfumature che rendono un gruppo coeso e vincente. Il risultato di questa disattenzione del “comandante” lo si è visto nettamente sul campo dell’Olimpico romano con giocatori bianconeri, soprattutto i campioni come Ronaldo, scollegati tra loro, calligrafici, freddi e in una frase senza anima. Quell’optional indispensabile che Massimiliano Allegri sapeva modellare e trasmettere. Quell’ anima che la Juventus di Sarri non ha perduto perché probabilmente non ha mai avuto.