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Partiamo da un assunto: la Juventus non ha sbagliato a comprare Cristiano Ronaldo. Ha sbagliato ciò che ha fatto dopo. Andrea Agnelli e la dirigenza nell'estate 2018 hanno condotto un'operazione dal potenziale enorme sotto ogni punto di vista: tecnico, economico-commerciale, di spessore e prestigio della squadra. Tutto questo non si può rinnegare nemmeno alla luce di un'eliminazione ai quarti di finale e due agli ottavi di finale di Champions League. Quei 115 milioni di euro non sono stati un investimento fallito alla base. Sono stati trasformati in un tonfo tecnico dalle scelte successive e da una mentalità rovinosa che ha iniziato a serpeggiare in seno alla Juve con la sua presenza in campo.

Partiamo proprio da quest'ultimo fattore: la Juve si è seduta sulla consapevolezza di avere Ronaldo. L'atteggiamento, più o meno inconscio, sembra quello di chi sa di avere un'arma "disumana" per risolvere le partite, sia in campionato che in Champions, e pensa in un certo senso di poter trascurare qualche aspetto nella gestione tecnica o nella costruzione della rosa, perché tanto a correggere o coprire le imperfezioni c'è super CR7.

Un atteggiamento del genere nasconde però un pericolosissimo equivoco: il calcio è e sarà sempre un gioco di squadra. Quando si dice che un fuoriclasse "risolve le partite da solo" è un'iperbole che spesso usa anche chi scrive, per enfatizzare legittimamente un concetto, ma un'iperbole resta. Il campionissimo in questione ha sì una capacità mostruosa di determinare i risultati per la sua squadra, ma a sua volta ha bisogno di una squadra attorno a sé che lo metta nelle condizioni più confortevoli per fare così tanto la differenza. È la meravigliosa alchimia degli sport collettivi. Il Real Madrid vinceva "grazie a Ronaldo", ma intorno a lui c'erano Ramos, Casemiro, Kroos, Modric, Benzema, etc etc. 

Il "sedersi su Ronaldo" ha riguardato sia la società che la squadra. Una volta comprato Ronaldo, infatti, non è stato condotto un mercato all'altezza della situazione. All'altezza di CR7. È stato esonerato Allegri, specialista nello gestire gruppi di campioni, per un'annata storta e la scia emotiva del "giochismo contro il resultatismo". A Sarri però non è stata offerta una squadra in linea con la sua filosofia di gioco, infarcita di giocatori presi in quanto occasioni a costo basso o zero come Rabiot e Ramsey, appesantita da contratti-zavorra come quello di Khedira, privata di talenti sacrificati sull'altare della plusvalenza (qualcuno ha detto Kean?), per poi consegnare a Pirlo un organico dalla continua coperta corta.

In tutto questo, gli allenatori e i giocatori succedutisi nelle annate juventine dell'éra Ronaldo hanno assorbito e messo in campo quello stesso "sedersi su Ronaldo", regalando sistematicamente l'andata degli ottavi di finale di Champions per poi tentare la rimontona al ritorno. Con l'Atletico Madrid l'impresa riuscì (tripletta di CR7 ovviamente), mentre contro Ajax, Lione e Porto sono arrivate dolorose eliminazioni. Giocatori come Ronaldo richiedono giocatori che giochino adeguatamente insieme a lui e per lui, per alzare insieme il livello delle prestazioni, non certo scudieri che si inibiscono al cospetto del Re. Un sovrano sempre più anziano che si trova a dover risolvere tutto da solo, contro "eserciti" sempre meglio attrezzati. Senza più avere le forze per riuscirci.

Ormai, infatti, è troppo tardi. Dopo aver acquistato Ronaldo si doveva creare un tessuto di giocatori e di mentalità che potesse nel giro di due, massimo tre anni, portare la Juventus a fare il famigerato "salto di qualità" in Europa. Invece, non si è riusciti a sfruttare in questo senso l'incredibile opportunità offerta dall'avere un fuoriclasse come lui in squadra. E ora ci si ritrova con un CR7 evidentemente all'inizio del declino (la partita di ieri è la triste e massima esemplificazione) che pone il club bianconero di fronte a un quesito da masticare e ponderare per bene nei prossimi mesi: che fare di Cristiano? Ed eventualmente, quando farlo?