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Quando la Juve inizia ad affondare così clamorosamente, così dolorosamente, l'impressione è che lui non riesca a fare niente per provare a tenerla a galla. E così crolla anche lui, a volte dopo qualche passo incerto, altre quasi da fermo, senza nemmeno tentare di alzare la gamba quel tanto che basta per perdere l'equilibrio e "volare". Povero Dusan Vlahovic, come direbbe qualcuno. Anche contro il Benfica il giovane attaccante serbo non è sembrato neanche l'ombra di se stesso, l'illusione di un'intesa con Arek Milik si è sciolta come neve al sole, sparita come l'entusiasmo dei tifosi che ieri sera si sono presentati all'Allianz Stadium con la speranza di vivere una grande notte di Champions League, di quelle da ricordare.

RABBIA E PAURA - Certamente Dusan se la ricorderà, la partita di ieri, ma non di certo per un gol, un assist o una grande giocata. Forse se la ricorderà per il senso di solitudine, per la difficoltà nel fare qualsiasi cosa che ne mostrasse al mondo l'indiscutibile talento, con quella sana rabbia tipica del centravanti più cinico e spietato quale ha dimostrato di essere in tante occasioni. La preoccupazione avanza, probabilmente anche nella sua testa, tanto più dopo quella notizia che in pochi qualche settimana fa si aspettavano di poter dare: al momento, il miglior attaccante nella rosa della Juve non è più lui, ma quel polacco approdato a Torino sul gong del mercato con l'etichetta di "vice Vlahovic". E tra i tifosi, ora, inizia a serpeggiare anche un pensiero amaro e spaventoso, una paura che colpisce direttamente la pancia: quella che il numero 9, accolto e acclamato come un eroe, possa fare la stessa scelta di Matthijs De Ligt, lasciare la barca per cercare una nuova rotta, più sicura e lineare. Questa Juve, del resto, non può bastare a nessuno.