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La valigia sul letto, la Coppa davanti, e un dilemma che vale quasi l'insonnia: ma alla fine, dopo tutto questo tempo, dopo tutto questo lavoro, cos'è che resta dell'Allegri duepuntozero? Non è lavarsene le mani, solo un dato di fatto: è ancora impossibile dare un giudizio definitivo. Vincere o non vincere, alla Juve, marca una differenza così spessa da rompere le pareti dei ricordi. Quanto prodotto non conta più. Quanto c'è da fare è tremendamente importante. 

Però un'idea, o meglio un lieto fine, questa squadra potrebbe guadagnarselo. Potrebbe persino meritarselo. Anche solo per non lasciare un'annata a tratti meravigliosa, e a tratti orribile, con quest'indifferenza finale, figlia di tutti questi passi indietro che sono stati più veloci dei passi in avanti. Sarebbe come un cucchiaio di zucchero in un caffè amaro: a qualcuno piace così, a qualcun altro dà disgusto. Però è indubbio, cambia la percezione

Allegri lavora pure in questo senso, con la sua difesa da avvocato d'ufficio, che scricchiola un po' da tutte le parti tranne da quella dell'imputato: questa Coppa Italia sembra possa contare più per lui, meno per la Juventus. Per un motivo egoistico, però vero, efficace: se vince, torna a essere un vincente agli occhi di chi potrebbe offrirgli un contratto. Se perde, allora davanti a sé avrà montagne di gerarchie da scalare. 

Ecco: cambierebbe poco, forse meno per la Juventus. Brava ad agguantare una finale importante, ma non esattamente l'equivalente dell'Everest calcistico: ha fatto una passeggiatina verso Roma, tra Salernitana, Frosinone e la nuova Lazio di Tudor. E non l'arrampicata degna di altre stagioni.

Certo, le favolette, si sa, sono belle se raccontate in un certo modo, per conciliare il sonno di tutti. Chissà se Allegri resterà un vecchio sogno o diventerà a questo punto un nuovo incubo.

Roma cambierà il colore del ricordo, irrimediabilmente.