commenta

Antijuventinismo h.24 - La Colonna Infame: c​ontinua la rubrica che monitora l’odio contro la Juve.

Nelle parrocchie del contado fiorentino va a ruba una predica, che pare abbia moltiplicato i presenti alla santa messa. C’entra il Natale, ma fino a un certo punto. Protagoniste sono la Fiorentina e la Juventus. Il prete officiante esordisce così: “In questo momento possiamo dire che i Re Magi hanno cambiato nome: si chiamano Vlahovic, Alex Sandro e Caceres…”. Potevano aggiungere, per dovere di cronaca, che da tre, i Magi sono diventati quattro: l’ultimo, quello che ha fatto i regali più vistosi, si chiama La Penna. Ma io, visto il clima natalizio, vi vorrei raccontare un’altra storia, anzi una parabola. S’intitola: “Il Buon Arbitro”, e forse i solerti sacerdoti viola potrebbero inserirla nelle loro prossime omelie. Dunque, c’era una volta un ragazzo appassionatissimo di calcio, viveva nel Centro Italia, ma non tifava per la squadra della sua città. Era molto volonteroso, correva, si dannava, obbediva alle indicazioni dell’allenatore, però il pallone non sembrava fatto per lui. Il presidente della sua squadretta, allora, gli disse: “Perché non diventi arbitro? Sei tranquillo, calmo, riflessivo, corretto. Corri, hai un buon fisico. Gli arbitri sono importanti e necessari.” E così quel ragazzo cambiò. Continuava a tifare, sfidando anche amici e genitori, per una squadra “straniera” della serie A, ma arbitrando in categorie più modeste non si pose il fatidico dubbio: “Se un giorno dovessi arbitrare la mia squadra del cuore? Dovrei dichiarare la mia passione oppure no? Ma tanto non succederà mai!” Invece accadde. Dopo le serie minori e due straordinarie stagioni in B, l’arbitro approdò alla A. Aveva già provveduto a togliere i poster dei calciatori preferiti dalla sua stanza, smise di parlare di calcio e dichiarò a tutti (genitori, amici, parenti) che non era più tifoso di alcuna squadra. Se ne convinse anche lui, ma l’inconscio, si sa, può combinare brutti scherzi. Con la sua abnegazione, la faccia da bravo bambino, l’impegno, la corsa, l’arbitro esordì e progredì mirabilmente di partita in partita fino all’incontro fatale, quello con sua (ex) squadra del cuore. Fu un arbitraggio disastroso in cui commise un errore dopo l’altro, sempre contro quei colori per cui aveva delirato. Aveva paura di cedere alla tentazione di favorire i suoi beniamini, così, contro di loro, prese decisioni platealmente sbagliate. Cedette, cioè, alla denegazione, attuando un procedimento psicologico che impediva di riconoscere un desiderio che prima aveva affermato. Naturalmente ogni riferimento alla realtà è puramente casuale, però questa parabola potrebbe finire nel Vangelo Apocrifo del calcio.