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Sembra una frase da Gandhi, o più semplicemente è una massima di chi ha vissuto mille storie di calcio, altrettanto di vita. Di chi è nato al sud e si è ritrovato a costruire le proprie radici al nord. Da chi l'ha girata tutta, quest'Italia. Nel suo meraviglioso bene e nel suo infernale male. Per questo, quando Maurizio Sarri non fa una piega sulla questione razzismo in conferenza stampa, c'è da sedersi e applaudire. Soprattutto, ascoltare. Perché è una testimonianza assolutamente preziosa, e non va sciupata. 

L'UNICA RAZZA - Maurizio sorride pur sapendo che non c'è niente da ridere. Poi fa spallucce: "Queste persone vivono in un mondo civile tutta la settimana". E poi che succede? Succede che lo stadio diventi sfogatoio, che si arrivi a fare un conglomerato d'ignoranza che si fa incredibilmente eco. E s'ingrossa, e s'infiamma. E accade ancora, senza mai arrivare a un punto fisso e finito. "Il razzismo c'è nella nostra società e di conseguenza entrano anche nello stadio. Io penso che ci siano tutti gli strumenti tecnologici per arrestare - se esistono leggi - chi insulta". Il suo provvedimento è tanto drastico quanto all'apparenza semplice. Del resto, per chi calca un campo dagli anni Novanta, arrivare 30 anni dopo a fare gli stessi discorsi diventa quasi un esercizio di pazienza. C'è una regola? La si applichi. Perché "non è più ammissibile nel 2020 essere insultati dal punto di vista territoriale o razziale. L'unica razza che esiste è quella umana". Nulla da aggiungere, se non un sentitissimo 'grazie'.