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In questo periodo, ahinoi, siamo tutti un po’ virologi. Leggiamo, ascoltiamo, ci informiamo. E poi ne parliamo, ovviamente: in metro, in ufficio, al bar sport. E’ un modo normale, diremmo umano di reagire a una situazione nuova e difficile come quella proposta dal Coronavirus. Poi ci sono i personaggi pubblici, quelli che parlano alla gente, i quali dovrebbero avere equilibrio e misura. Solo che alcuni ce l’hanno, altri no.

Prendiamo la Juve, che dovrà disputare senza tifosi la partita scudetto contro l’Inter. Agnelli, con il buon senso del grande dirigente, ha osservato: “Giocare a porte chiuse non piace a nessuno, ma se ci dicono che dobbiamo procedere così, allora lo faremo. La priorità è tutelare la salute pubblica”. Tutto chiaro, corretto, perfetto. Il presidente bianconero sa - e lo dice - che non è ipotizzabile imporre lo stop al campionato, a meno che non diventi indispensabile per evitare la diffusione del virus, e allora è pronto ad accettare le decisioni di esperti, studiosi e scienziati.

Poi arriva Sarri, il quale improvvisamente si scopre virologo e politico. Prima insegna ai francesi (preoccupati per l’arrivo dal Nord Italia di migliaia di tifosi, ai quali non facciamo frequentare i nostri stadi ma che stasera entreranno in quello di Lione) come mai da quelle parti non ci sono malati: “Voi non fate i tamponi, altrimenti scoprireste molti più contagiati”. E poi indica ai nostri dirigenti e governanti come devono comportarsi con la chiusura degli stadi: “Se obbligano noi a giocare a porte chiuse, devono farlo in tutto il Paese”.

Bontà sua non l’ha messa sul piano dei vantaggi e degli svantaggi che avranno altre squadre a giocare con il pubblico rispetto alla juve, ma si è avventurato in una tesi da esperto in materia di epidemie: “A Roma, Palermo e Bologna (peraltro inclusa nelle zone a rischio, ndr) ci saranno due o tremila persone che lavorano a Milano, quindi devono chiudere anche là”. Ha ragione? Ha torto? Ne parliamo in metro, in ufficio oppure al bar sport.

@steagresti