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Era di sabato. Non ricordo bene contro quale squadra dovesse giocare, il giorno dopo, il Brescia. Rammento perfettamente la vigilia. In sala stampa, per la canonica conferenza. Mircea Lucescu si presenta insieme con un ragazzino dallo sguardo intimorito. Dice il tecnico: “Lui si chiama Andrea Pirlo. Ieri ha compiuto sedici anni e domani esordirà in prima squadra. Credetemi, per quel che ne posso capire, questo bambino tra qualche anno sarà un patrimonio prezioso per il calcio europeo”. Il ragazzo ascoltava e le sue gote si colorirono di rosso. Ci vedeva molto bene l’uomo che, a mio parere, è stato uno fra i più bravi e competenti allenatori del mondo. Dopo poco tempo Andrea Pirlo per i suoi compagni di squadra era già “Il maestro”. Dirà di lui Roberto Baggio: “Possiede quel qualcosa in più di tutti che gli permette di vedere prima ciò che gli altri vedono dopo”.

Da ieri Andrea Pirlo, in barba a tutte le anticipazioni sparate alla luna, è ufficialmente il nuovo allenatore della Juventus. Un onere ma anche un onere di grandissime proporzioni oltreché una responsabilità pubblico-sportiva di massimo rilievo. Puntualmente e bene ha scritto Stefano Agresti parlando di “lucida follia” per ciò che riguarda la clamorosa decisione del presidente Agnelli. È comunque bene ricordare che ciascun capolavoro frutto della genialità umana è ispirato almeno in parte dall’afflato che arriva dal regno di quella stessa follia. A proposito di Pirlo io sono convinto e voglio sperare che la sua avventura apparentemente fantasiosa diventerà fantastica, per lui, per la società bianconera e per il suo popolo che ha accolto con curiosa e benevola eccitazione la notizia della sorprendente investitura.

Al netto di ogni considerazione preventiva determinata dai liberi giudizi di ciascuno, il termine più corretto da spendere in questo momento di attesa per quel che si realizzerà molto presto è quello di “scommessa”. Andrea Agnelli, con grande coraggio, ha voluto replicare ciò che fece Giampiero Boniperti allorché affidò la guida della Juventus prima ad Armando Picchi e poi a Giovanni Trapattoni dopo che il destino si era messo di traverso per sbarazzarsi in maniera brutale e tragica del tecnico livornese. Sia Picchi che il Trap, pur avendo giocato le loro prime carte professionali entrambi sulla panchina del Varese, non erano certamente nella lista degli allenatori forniti di un pedigree consono a una grande squadra. Medesimo discorso che si potrebbe fare per Roberto Mancini il quale esordì alla Fiorentina senza manco possedere le credenziali burocratiche per poterlo fare.

Detto ciò a queste considerazioni oggettive e beneauguranti, occorre aggiungerne una di carattere economico. La Juventus, sul piano del bilancio, non se la passa bene. La S.p.A. bianconera fa parte della Exor ma soprattutto viene indirettamente sostenuta dalla Dicembre ovvero la cassaforte degli Agnelli nella quale vanno a pescare i tantissimi membri, diretti e indiretti della famiglia, i quali non gradiscono granché che i loro vitalizi milionari vengano usati per pagare calciatori e affini. Leggendola in questa chiave, nella vicenda Pirlo ha pesato in buona misura l’intervento che John Elkann ha fatto con il cugino Andrea per evitare ulteriori uscite di capitali a perdere per onorare il contratto con Sarri e quello con un nuovo allenatore dall’ingaggio faraonico. Questa non è follia, ma saggezza imprenditoriale e ora per completare il puzzle e ripartire da capo come azienda che fa impresa Andrea Agnelli dovrà farsene una ragione e liberarsi dei collaboratori, Nedved e Paratici, responsabili della mala gestione.